Alla fine del Settecento con i primi fermenti preromantici la musica acquistò un posto di assoluta preminenza tra le arti.
E' perlomeno singolare che i primi a considerare la musica come arte privilegiata, come espressione più alta, siano stati i letterati e i poeti.
Solamente più tardi la coscienza di questo mutamento toccò i musicisti; perciò le prime testimonianze di questa nuova sensibilità romantica per la musica vanno cercate anzitutto in scritti letterari.
E' sintomatico come solo nel Romanticismo sia lo stesso poeta a porre la musica spesso al centro della sua attenzione ed a considerarla come il punto di convergenza di tutte le arti.
Le osservazioni più affascinanti sulla musica si trovano in scritti di letterati che sono lontani da ogni conoscenza di tipo tecnico sull'arte dei suoni, ma tuttavia subiscono in modo irresistibile l'attrattiva di quest'arte.
E altresì significativo che tutti i grandi filosofi romantici facciano della musica uno dei centri della loro speculazione e che da Hegel a Schelling, da Schopenhauer a Nietzsche la musica trovi un posto d'onore in tutti i sistemi filosofici. senza contare i brevi scritti sulla musica del giovane Wackenroder, letterato e critico morto giovanissimo alla fine del Settecento.
Tutte le arti rappresentano un mezzo per manifestare i propri sentimenti, ma la musica, secondo Wackenroder, è l'arte per eccellenza, superiore a tutte le altre per capacità espressiva.
La musica rappresenta infatti il mezzo più diretto di contatto con il divino di cui dispone l'uomo.
La musica, in particolare quella strumentale, riesce ad esprimere l'inesprimibile, spaziando nelle più alte sfere dello spirito.
Hoffmann, uno dei più originali scrittori del primo Ottocento, ma anche critico musicale e musicista, definiva la musica come "la più romantica di tutte le arti"; con ciò dava del Romanticismo stesso una definizione che andava ben oltre il dato storico.
Infatti per Hoffmann tutta la grande musica, anche quella delle epoche passate, era romantica: la musica di Palestrina, di Bach, di Mozart, di Haydn, ed infine, più di ogni altra, quella di Beethoven è romantica perchè è tale tutta la grande musica: essa ha per oggetto l'infinito.
E singolare come accanto agli scritti pieni di mistico entusiasmo troviamo i primi studi specialistici e storici nel senso moderno del termine.
Infatti una moderna storiografia sulla musica risale proprio agli inizi dell'Ottocento.
Le prime storie della musica erano state scritte nella seconda metà del Settecento: in Italia padre Martini di Bologna aveva iniziato una monumentale Storia della musica rimasta però interrotta; in Inghilterra Charles Burney e John Hawkins avevano steso le prime storie che ambivano alla completezza.
Per molti secoli la musica era stata soggetta ad un rapidissimo consumo e si doveva arrivare al Romanticismo, con il suo nuovo interesse per il passato più o meno remoto, sepolto nei manoscritti e negli archivi, perchè nascesse il desiderio di riascoltare, di giudicare, di riscoprire il patrimonio musicale dimenticato.
Questo nuovo atteggiamento nei confronti della musica ha costituito la premessa indispensabile per la nascita di una vera e propria storiografia e di tutto un complesso di studi sulla musica.
Accanto alla rivalutazione di un passato musicale che affonda le sue radici anche nel più lontano Medioevo
Altri caratteri vengono spesso messi in evidenza.
Il meraviglioso, il fantastico, il bizzarro, il recondito, il misterioso, sono aggettivi che ricorrono con frequenza nelle critiche e nelle divagazioni dei romantici, siano essi poeti, scrittori, filosofi o musicisti, termini usati per lo più come polemica nei confronti del classico, del regolare, del troppo forbito, della conformità alle strutture tradizionali della scuola viennese.
Cosi come nella pittura nasce il gusto per i paesaggi orridi, per le gole di montagna, i precipizi, le tempeste, le rovine, così in musica, soprattutto nel primo Romanticismo, nasce il gusto per l'irregolarità delle forme, per il bizzarro e per ciò che sgorga naturalmente da un impulso interiore non soggetto ad alcuna costrizione formale.
Queste trasformazioni sono invece frutto di un profondo processo di trasformazione del mondo che modifica anche la vita interiore dell'uomo.
Alla base di tale processo sta il graduale passaggio del potere economico dalle mani dell'aristocrazia terriera a quelle della classe media. Inizialmente essa accumula capitali lavorando a lucrose attività commerciali e successivamente li incrementa investendo il denaro guadagnato in attività produttive, in manifatture caratterizzate dalla presenza di nuove macchine.
E questa la cosiddetta " rivoluzione industriale " che, traendo profitto dalle scoperte scientifiche che si sviluppano a partire dal XVII secolo, le applica alla produzione di beni.
A conclusione di questa fase il mondo moderno ha già costruito le sue premesse.
A questo punto il mondo avrà cambiato volto: da un assetto feudale o para-feudale sarà passato all'organizzazione moderna caratterizzata da fenomeni che ancor oggi ben conosciamo: la creazione delle metropoli industriali, le tensioni sociali e sindacali, i problemi ecologici, il funzionamento delle democrazie parlamentari, lo sviluppo dei metodi di persuasione di massa. I primi anni dell'Ottocento, successivi alla Rivoluzione francese, si collocano al centro di questa epoca e ne costituiscono in un certo senso la chiave di volta.
Anche la gestione della cultura passa dalle mani del ceto aristocratico a quelle del ceto imprenditoriale e borghese.
In questo passaggio di mano le attività artistiche trasformano profondamente non solo il loro assetto organizzativo, ma i loro stessi contenuti, che ora rispondono a modi di pensare, a giudizi sulla realtà, a sistemi di valore tipici della nuova classe.
La trasformazione più significativa delle attività musicali sia quella del passaggio dalla conduzione aristocratica (che si basava sulle orchestre di corte, sulle grandi feste di palazzo) all'istituzione borghese del concerto pubblico con pagamento del biglietto d'ingresso.
Gli esempi di questo passaggio si moltiplicano in tutta Europa agli inizi dell'Ottocento e alcune istituzioni una solidità tale da sopravvivere fino ai nostri giorni.
Per contro diventa assai fiorente negli ambienti della borghesia benestante la pratica amatoriale del far musica in casa Hausmusik secondo un diffuso termine tedesco.
A partire dagli inizi dell'Ottocento la Hausmusik che si svolge nei salotti della buona società diventa una sorta di status symbol, non solo in Germania, ma in tutta Europa, e spesso nelle occasioni di maggior prestigio utilizza anche i buoni professionisti locali e i grandi virtuosi di passaggio.
Ma la pratica amatoriale e domestica che inizialmente, come avveniva anche nel Settecento, non si distingueva da quella di livello professionale se non per la richiesta di facilitazioni tecniche si crea a poco a poco anche una sua tradizione e un suo gusto musicale, e addirittura un vero e proprio " genere " compositivo: quello che nei paesi di lingua tedesca viene definito col termine di Salonmusik, o musica da salotto. La quale tuttavia non è un fenomeno solo tedesco, ma è ampiamente presente in tutta Europa.
Nella Salonmusik tendono a riflettersi, in misura sempre più evidente nel corso del secolo, i valori, i sogni e le fantasie di una media borghesia che interpretava le trasformazioni del mondo, della società e della cultura della sua epoca sulla base di ideologie alla moda, spesso improntate ad un ingenuo sentimentalismo quotidiano.
Ma la Salonmusik ha anche un suo aspetto brillante: per esempio nelle sue punte più professionalizzate può essere musica da virtuosi, musica strappa-applausi; in altri casi invece può essere scritta per evocare motivi amati soprattutto melodie d'opera e per rinnovare cosi il piacere di riconoscerli; o ancora può allietare riunioni d'amici con i ritmi delle danze in voga.
Le sue fortune coincidono con le fortune commerciali dell'editoria che la diffonde e la promuove.
Si diffusero ampiamente associazioni e gruppi di amatori che coltivavano la musica cantando in coro.
Tali associazioni si diffusero assai rapidamente a partire dagli inizi del secolo.
I primi cori erano esclusivamente maschili, poi nacquero anche cori femminili o misti, spesso animati da ideali patriottici.
Talora associazioni di questo tipo stavano alla base dei cosiddetti Musikfeste, specie di grandi festival musicali popolari in cui si radunavano tutti i professionisti o i buoni dilettanti di una città o di una regione per celebrare e cantare collettivamente la propria identità culturale e talora anche quella nazionale.
La situazione stessa del musicista si fa problematica.
Venuto meno il rapporto di dipendenza con il mondo nobiliare che gli assicurava la sopravvivenza e al tempo stesso gli forniva i fondamentali modelli di riferimento su cui esercitare la propria creatività, il musicista reagisce dapprima con una sorta di moto d'orgoglio individuale.
L'immagine di Mozart che preferisce, a rischio della sua stessa esistenza, le avventure del libero professionista ai vincoli di dipendenza dal vescovo di Salisburgo, o l'immagine di Beethoven che tratta alla pari e persino rudemente i rappresentanti dell'aristocrazia viennese dai quali riceve sovvenzioni che gli permettono di dedicarsi alla sua libera attività di compositore, manifestano in modo concreto ciò che i poeti e i filosofi delle prime cerchie romantiche teorizzavano in termini ideologici: l'opera d'arte non ha obblighi con nessuno, a nessuno deve rendere ragione della propria esistenza e dei propri contenuti; essa è totalmente nelle mani dell'artista che la crea, essa è il regno della pura soggettività individuale, in essa si manifesta in termini mirabili quel mistero della vita interiore che nelle società d'altri tempi era affidato alle parole dei grandi libri sacri o alle immagini del mito.
Nel caso della musica le funzioni essenziali sono quelle assicurate dalla sempre più ampia diffusione del concerto pubblico i cui destinatari tuttavia che ne sono anche i sostenitori economici non costituiscono più un gruppo sociale coerente, potente e stabile com'era l'aristocrazia, ma si identificano in gruppi di soggetti con esigenze culturali differenziate, con sistemi di attese non coincidenti, con competenze d'ascolto di livello diverso.
In altri termini si può dire che il musicista debba ora confrontarsi con un meccanismo per lui nuovo e imprevisto: il meccanismo del mercato musicale.
E questo, lungi dall'assicurargli quell'assoluta libertà che i primi pensatori romantici pretendevano dovuta al genio, lo vincola invece a tenere conto di gusti, esigenze, richieste assai più differenziate, più sfuggenti e spesso anche meno qualificate di quelle della vecchia aristocrazia.
Una delle prime e più spontanee reazioni che sorgono di fronte ai nuovi problemi posti da questa difficile situazione di libertà, è quella di chi tende a "giustificare " in termini di utilità sociale l'opera del musicista nei confronti dei suoi possibili destinatari.
Non mancarono esempi espliciti di " impegno sociale " diretto, da parte di musicisti che, nel periodo rivoluzionario, scrissero inni, marce, canti, dedicati al popolo in lotta e alle celebrazioni civili dello Stato. Alcuni anni dopo Berlioz componeva a Parigi grandi opere corali-sinfoniche ispirate agli ideali della collettività nazionale.
Nè si deve dimenticare che in tutto il corso dell'Ottocento è in atto in Europa particolarmente nei paesi orientali, dalla Russia all'Ungheria alla Boemia un movimento di riscoperta delle proprie radici e della propria identità nazionale basato sulla valorizzazione del canto popolare.
D'altra parte il problema delle difficili relazioni fra l'artista e la società che lo circonda trova anche soluzioni in un altro tipo di ideologia che nasce: la malinconia che emana da molte affascinanti composizioni dell'epoca è direttamente connesso con la penosa situazione di frustrazione a cui l'artista è condannato da un contesto sociale che afferma di perseguire ideali di progresso e di riscatto umano.
La natura di questa problematica " libertà " del musicista ha ripercussioni evidenti anche nel campo delle convenzioni formali sulle quali si strutturano i vari generi musicali.
Il musicista infatti sa bene che il suo pubblico conosce il linguaggio che egli si accinge a usare, sa che possiede abitudini, manifesta attese, ha gusti che ama sentire rispettati.
In altri termini la forma musicale è lo strumento specifico della comunicazione, è il terreno comune sul quale il musicista può entrare in contatto con i suoi destinatari, è una forma implicita di dialogo.
Naturalmente tale dialogo si manifesta in modi diversi a seconda dei contesti.
Nel caso della Salonmusik, la cui funzione era quella del piacevole intrattenimento, era assolutamente necessario rendere subito riconoscibile e godibile il senso della composizione, soddisfare abbondantemente le attese degli ascoltatori.
Nelle musiche di maggior pretesa o impegno culturale il gioco poteva essere condotto in modo più spregiudicato, fermi restando tuttavia anche in questo caso i limiti del reciproco rispetto che doveva tenere legato il musicista al suo pubblico.
Fra i grandi generi della tradizione, alcuni (in particolare quello della Sinfonia) erano strettamente connessi, se non altro per la forza schiacciante del modello beethoveniano, con quell'idea sacrale dell'arte come strumento di solidarietà, di religione laica, che i primi romantici avevano diffuso e che aveva messo profonde radici nella cultura dell'epoca.
Cosi, fin che questi ideali poterono reggere, la forma classica della sinfonia, dall'epoca di Mendelssohn a quella di Brahms, nonostante le sue modificazioni interne, si mantenne tuttavia ancora salda nelle sue strutture portanti.
E lo stesso avvenne di altri generi e schemi formali " alti ", come quelli del quartetto e della sonata, anch'essi fortemente legati al nobile perdurare della tradizione classica.
Ma il campo della produzione cameristica si prestò immediatamente anche a una serie di sperimentazioni più ardite in cui l'abbandono alla fantasia personale, la rivendicazione del diritto all'originalità individuale, la ricerca di itinerari interiori più nascosti e meno prevedibii aveva più ampie possibilità di manifestarsi. I " momenti musicali " di Schubert, i pezzi fantastici di Schumann, taluni preludi o notturni di Chopin sono altrettanti esempi di questa libertà di concezione.
Le " piccole forme " della musica da camera rappresentano in questo senso una sorta di mondo privilegiato fatto di intuizioni fulminee, di rivelazioni imprevedibili, di insondabili profondità.
Un altro aspetto formale importante del linguaggio ottocentesco è costituito dalla sua capacità di integrare, all'interno delle proprie strutture, procedimenti costruttivi nuovi per l'epoca, ma desunti dal ripristino di forme del passato in sintonia con quella seduzione esercitata dal passato sulla coscienza dei romantici di cui già si è parlato. Vogliamo alludere non solo al graduale recupero concertistico dei repertori del passato, ma anche alla progressiva e sempre più evidente integrazione di stilemi del passato nel contesto delle invenzioni musicali del presente.
Cosi moduli armonici o contrappuntistici di tradizione barocca acquistano, in talune composizioni di Schumann o di Brahms, quasi il valore di simboli di nobiltà antica o di nostalgia per una ricchezza ideale ormai non più raggiungibile.
Da qui si sviluppa una nuova concezione estetica che diventa sempre più consapevole nel corso dei primi decenni del secolo, secondo la quale la forma musicale deve subordinarsi alle intenzioni espressive e comunicative del musicista, e non viceversa.
Il musicista crea la sua personale forma e la impone al pubblico. E' ciò che avviene ad esempio nei " poemi sinfonici " o in altri brani descrittivi di Liszt, dove l'ascoltatore è invitato a cogliere il senso di un complesso percorso sonoro senza tuttavia possedere alcuna chiave preventiva di interpretazione o di previsione di quel percorso. L'unica traccia che gli viene concessa è il titolo del brano o l'indicazione delle intenzioni descrittive dell'autore contenuta nel " programma " che accompagna il brano.
Questa accentuata personalizzazione della forma e del linguaggio musicale crea un capovolgimento di prospettiva storica rispetto al passato.