Scritti Corsari: Interview 03/02/2009

Posted on: 03/02/2009


Gli Scritti Corsari sono un gruppo folk-rock toscano attivo sin dal 2003; attualmente, dopo vari avvicendamenti, sono formati da: Bettina Ferretti (voce, armonica), Marco Taddei (chitarre, mandolino), Maurizio Vannoni (tromba, trombone), Samuele Baglioni (basso) e Stefano Nassi (batteria, percussioni).
Il gruppo, traendo le sue influenze dalla musica folk, dalla canzone d'autore e da quella 'impegnata', alterna cover selezionate (Gang, Fabrizio De Andrè, Massimo Bubola) a canzoni proprie. Ecco di seguito l'intervista.

La prima domanda e' scontata: da dove deriva il nome scritti corsari?

La “colpa” di questo nome è di Samuele: l’idea è stata sua, noi avevamo paura che fosse un po’ troppo “pretenzioso”, il patto allora è stato che ci si prendeva il nome, ma poi sarebbe toccato sempre a lui spiegarne l’origine. Quindi.. a lui la parola:

«Quando si è trattato di scegliere il nome del gruppo io ho proposto questo, attingendo ad una mia grandissima passione: Pier Paolo Pasolini; “Scritti Corsari” è il nome della rubrica che lui tenne sul “Corriere della Sera” tra il 1973 e il 1975. Una rubrica dalla quale, nel corso della sua “scandalosa ricerca”, fustigava i (mal)costumi di un’Italia che allora sembrava (era!) bigotta e meschina, ma che a guardarla adesso, con negli occhi lo sfacelo di oggi, sembra quasi invidiabile. Pasolini ha, fra i mille altri, un carattere che apprezzo tantissimo: non propone certezze, è un inesauribile fonte di dubbi! Ti poni di fronte ad una questione, convinto delle tue idee, e lui -contrariamente a quanto potresti aspettarti- demolisce ogni tua certezza, per sostituirla con molte altre domande. La ricerca di una risposta a queste domande è un percorso che credo valga la pena di affrontare. E poi c’è quella splendida cosa che PPP, di sé e dei suoi articoli, diceva: "Io non ho alle mie spalle nessuna autorevolezza: se non quella che mi proviene paradossalmente dal non averla o dal non averla voluta; dall'essermi messo in condizione di non aver niente da perdere, e quindi di non esser fedele a nessun patto che non sia quello con un lettore che io del resto considero degno di ogni più scandalosa ricerca."

Ecco… Quale migliore "dichiarazione d'intenti" anche per noi?»

Quali sono i vostri riferimenti musicali ed umani?

Per quanto riguarda i primi, seppure tutti noi abbiamo gusti e “formazioni” musicali le più disparate, un elemento unificatore indubbiamente lo possiamo trovare nei Gang e in Fabrizio De André, nel desiderio di dire certe cose, quello che si pensa, quello che non va, senza autocensure o infingimenti, ma non rinunciando a farlo ponendo attenzione alla “forma artistica”, ché di slogan da comizio non ne sentiamo proprio il bisogno. Ci piace chi un concetto lo fa intendere sottilmente, chi stimola la curiosità, la voglia di conoscere (anche per questo sul nostro sito i testi delle nostre canzoni sono “corredati” da alcune brevi note, con links ad approfondimenti, ecc.), in questo Fabrizio e Marino sono due maestri. Fin qua i testi, per quanto riguarda la musica davvero si tratta di una somma di gusti e passioni diverse: chi ama il jazz, chi il funky, chi il rock, chi una certa canzone italiana, anche non necessariamente cantautorale,… quello che ne esce fuori è questo folk-rock che, così ci piace chiamarlo, se ne sta sospeso fra memoria e suggestioni.
Riferimenti umani… facile: Paparazzingher e Nek, così siamo a posto sia dal punto di vista spirituale sia da quello culturale.
Scherzi a parte: De André e i fratelli Severini possono essere citati anche qua, per la loro integrità e coerenza. Ma ce ne sarebbero veramente tanti, troppi, da dire… soprattutto perché la maggior parte di questi sono persone che conosciamo noi, e che sono ignote al “grande pubblico”.

Voi eseguite cover ma ultimamente state lavorando a canzoni vostre: come scegliete i temi da affrontare?

Riprendendo il discorso che facevamo prima, in genere le nostre sono canzoni che parlano di memoria e che sperano di dare suggestioni a chi le ascolta.
Ma le tematiche affrontate nascono non tanto da una “scelta” vera e propria, quanto dalle esperienze che abbiamo vissuto: per questo, accanto alle canzoni che trattano temi come i molti genocidi succedutisi nella storia, o una vicenda accaduta dalle nostre parti durante l’occupazione tedesca, o alla funzione di confine/crogiuolo che viene attribuita al Mediterraneo, può capitare di parlare di viaggi, di un amico che non c’è più, di violenza sulle donne, della storia del popolo Sahrawi (alla luce di un viaggio nel campo profughi di Dakhla)…

State gia' lavorando per far uscire il vostro primo album con pezzi vostri?

Facciamo musica perché ci piace, perché ci diverte, perché è bello ritrovarci tra di noi, con i nostri strumenti… ci fa un po’ uno strano effetto parlare di un “nostro album”.
Diciamo che la nostra scelta è quella di abbandonare via via le covers che in questi anni ci hanno accompagnati (non tutte: probabilmente non riusciremo mai a smettere di suonare “La pianura dei 7 fratelli” dei Gang) per dedicarci solo alle nostre canzoni.
In questo momento, oltre a sviluppare alcune nuove idee che ci sono venute, stiamo anche iniziando a registrare quelle che già da tempo è “pronto”: per avere qualcosa di nostro da donare a chi vuole ascoltarci, per fissare queste esperienze, e da lì ripartire per altre nuove cose.

'Sesto San Giovanni' dei Gang e' una canzone 'coverizzata' da molti gruppi (Ned Ludd e Fev su tutti) compresi voi: come ve lo spiegate?

La risposta a questa domanda spetta assolutamente a Bettina.
«Avevo sempre fatto volentieri questo pezzo dei Gang insieme agli Scritti Corsari, lo amavo molto, era nelle mie corde. Poi è successo qualcosa che è riuscito a farmela amare ancora di più.
Poco più di un anno fa’ mi promisero un posto di lavoro, finalmente un contratto decente dopo anni di collaborazioni, partecipazioni, incarichi annuali etc…
La promessa aveva però un "contrappasso" da affrontare, vale a dire tre lunghi mesi di lavoro a Poggibonsi in una pescheria all'interno di un centro commerciale Coop, tre mesi che mi sarebbero serviti come scuola per imparare il mestiere ed avvicinarmi a casa.
Quindi, la mattina mi alzavo alle 4 per attraversare tre province, tre campagne differenti, immerse ancora nelle notte, per aprire la pescheria alle sei del mattino. Così, molto lentamente, percorrevo al buio infiniti chilometri, ancora in bilico tra un mondo onirico ed uno reale, e pensavo, pensavo molto: alla mia laurea, con la quale mi sono pulita il culo sin dal giorno seguente la discussione della tesi, al mio rincorrere un mestiere che non era il mio, ma che mi avrebbe permesso di arrivare più o meno a fine mese, e che avrebbe rassicurato il mio compagno col suo stipendio da miseria, anche lui dopo anni di studio e specializzazioni,…
Come potevo non pensare a Sesto San Giovanni ed alle parole di Marino? Come potevo non pensare a quel padre che, come il mio, aveva alzato le mani, si era arreso, di fronte ad una realtà che, per la figlia, avrebbe sperato differente dopo i suoi sacrifici economici perché non vivesse nell'ignoranza?
Sì, quei tre mesi sono serviti solo ad illudermi che quel lavoro di merda, tra il puzzo,il ghiaccio e gli isterismi della gente, potesse comunque diventare il mio lavoro. Ma così non è stato, dopo 9 mesi ero nuovamente a casa, in attesa di essere richiamata; quella telefonata non è mai arrivata. Forse la mia non sembrerà esattamente una risposta, ma lo è; posso solo immaginare quanti giovani e meno giovani sono o sono stati nelle mie stesse condizioni, e Sesto San Giovanni riassume la nostra rabbia, il nostro disagio, le promesse tradite, i sacrifici personali e delle famiglie… insomma la disillusione, in quelle mattine che sembrano notti, ed in quelle sere, che sembrano notti anche quelle, in cui veramente le stagioni sembrano essere una sola. Adesso, quando la canto, sento di cantare me stessa, e nello stesso tempo, sento di cantare una generazione.»

Nel 2004 avete fatto da gruppo spalla ai marmaja, cosa vi ricordate di quel periodo?

Innanzi tutto quella fu un’esperienza bellissima, era una delle primissime volte che suonavamo “fuori”, e lo facevamo lontani da casa, insieme a musicisti “veri”. Ci rendevamo conto, ovviamente, che eravamo troppo “acerbi” per un invito del genere, accettammo solo grazie all’insistenza dei Marma.
Da allora la formazione è cambiata: Stefania ed Alice (rispettivamente clarinettista e fisarmonicista) hanno preso altre strade, e sono arrivati Daniele alla fisa (per ora, visti i suoi molteplici impegni, saltuariamente, come ospite speciale in certi concerti... ma contiamo di riuscire a farlo "tutto nostro"!), Maurizio alla tromba e trombone e Stefano alla batteria e percussioni, ruolo che quella sera al “Mexico e Nuvole” fu ricoperto “in prestito” da Toni dei Marmaja. Loro furono veramente gentilissimi a farci sentire “a nostro agio” per quel primo “palco importante”: ti basti pensare che, oltre a Toni, sul palco con noi salì anche Guido con il suo flauto e con un timpano.

Penso che nella nuova scena musicale italiana, tranne poche eccezioni, ci sia molto immobilismo soprattutto nello scrivere canzoni 'impegnate', siete d'accordo?

Certamente scrivere canzoni che sfuggano dalla sempiterna rima cuore/amore preclude la possibilità di arrivare al grande pubblico, un po’ perché non molto corrispondente ai gusti della “massa”, ma soprattutto perché a certi temi non viene concessa la possibilità di venire proposti, sia a valle, a livello di “distribuzione”, sia a monte, a livello di “produzione”.
La voglia di parlare di certe cose magari c’è ancora, più probabilmente quello che manca è l’opportunità di far sentire questa voce.

Potreste indicarmi 5 dischi da portarsi dietro in un'isola deserta?

Ne scegliamo uno a testa:
1) Bettina - “Use your illusions I e II” dei Guns ‘n’ Roses
2) Marco - “Absolutely Free” di Frank Zappa
3) Stefano - “L’indiano” di Fabrizio De André
4) Maurizio - "Kind of Blue" di Miles Davis
5) Samuele - "Shadows and Light" di Joni Mitchell.

Ringrazio con tutto il cuore per le risposte gli Scritti Corsari ed auguro loro ogni bene perché se lo meritano.