Marco Ongaro è un cantautore, poeta e scrittore italiano, nonché autore teatrale e librettista d'opera. Nella sua pagina di wikipedia campeggia questa sua citazione: «Quale direzione prendere? E quando? La scelta è chiara: entrambe, sempre» tratta dal suo saggio Psicovita di Niki de Saint Phalle. L’ho voluta riportare qui, giusto per definirne la complessità. A due anni esatti dal suo ultimo disco Voce, (2016 - D'autore/Azzurra Music), ecco arrivare un nuovo progetto dal titolo Il fantasma baciatore (2018 - D'autore/Azzurra Music). Ce ne parla approfonditamente in questa intervista.
Sarà la mia passione per la fotografia ma sempre, guardando la copertina di un disco, mi domando perché sia stata studiata così, allora ti esprimo subito alcune mie curiosità. La dominante blu notte evoca per caso una natura più notturna delle canzoni di questo nuovo lavoro? L'immagine di te che suoni il pianoforte è ripresa allo specchio, c'è forse un gesto narcisistico dell'autore, un compiacimento del livello di maturità stilistica e contenutistico raggiunto in questo ultimo disco? Quanto c'è di te in quel Fantasma baciatore che sembra essere l'anello mancante dopo il Salvatore delle donne tristi e Il sostegno alle massaie?
Lo specchio in realtà è quello del piano, la mia immagine è riflessa nel mio pianoforte mentre lo suono, cosa avvenuta nell'album precedente, Voce, ma non in questo, dove ad accompagnarmi ci sono fior di musicisti e le canzoni sono state tutte scritte alla chitarra. Ma poco importa, giacché il Fantasma è un doppio, viene dall'altra dimensione, quella speculare, visibile ma intangibile. Se tocchi la superficie del pianoforte in corrispondenza della mia testa non senti la mia carne, senti la lacca dello strumento. Se tocchi la copertina senti la carta. Lo specchio era nero come la lacca del piano. Virarlo in blu è stratagemma unificante che dalla notte coglie l'aspetto fantasmatico dei sogni quanto dei desideri. La mano in primo piano è quella dell'autore che suona il piano, ma l'autore nel disco non lo suona, dunque è l'immagine di un'immagine ectoplasmatica come qualunque copertina in fondo si riduce a essere. In questo caso la mise en abyme era troppo invitante per resistere: il fantasma è là, dentro al pianoforte, è pura immagine. Lo si può intravvedere, ma soprattutto sentire (con l'ascolto). Il Fantasma baciatore è l'evoluzione naturale del personaggio creato con Il Salvatore delle donne tristi, che già derivava dal Landru di Archivio Postumia e si proiettava nel Sostegno delle massaie di Canzoni per adulti. Nessuna opera è compiuta, questo permette all'artista di continuarla finché vive, pescando dai propri discorsi per continuare la narrazione. Il Sostegno delle massaie collocava il Salvatore nell'ambito della prestazione sindacalmente inquadrata. Il Fantasma baciatore entra in una dimensione parallela, impalpabile, una presenza senza pretese, un aiuto forse immaginato, una speranza oltre l'incorporeità internettiana.
Nel rispondermi hai citato ben quattro tue canzoni, percorrendo circa vent'anni di canzoni (perché quel gioiello di Archivio Postumia è stato pubblicato nel 2005 ma nasce nel 1990, da due lavori distinti, a dire il vero). Spesso le canzoni di valore attraversano indenni il passare del tempo, anche quando sono solo degli abbozzi, mi riferisco a Star Strek, il brano che chiude il disco, di cui vorrei parlassi per primo, per sovvertire l'ordine delle cose ma soprattutto perché personalmente mi ha commosso da subito, uno di quei brani che ti si infilano subito sotto pelle, risalgono al cuore e allora sono guai... Non te ne liberi più.
La canzone nasce dalla semplicità di una poesia catalogo, la forma più elementare di poesia che però in buone mani può sortire effetti sorprendenti, in questo caso le mani da cui l'ho presa, e rimaneggiata in sua compagnia, sono quelle del poeta Nicola Saccomani, già frontman dei Ratatuja che vinsero Arezzo Wave nel 1997. La sua umoristica desolazione, la grottesca dignità dell'uomo sfiduciato eppure resiliente all'amore si è unita nell'elenco alla mia ossessività per il dettaglio, puntando a creare in effetti una sorta di correlativo oggettivo che esprime il clima da smantellamento con cui il brano chiude il disco. La farmacia dell'ultima strofa, pensata nella vita e nella testa di Saccomani, per me non è lontana da quella in cui Mick Jagger incontra Mister Jimmy in You can't always get what you want. Un'idea di benessere conservato al prezzo dell'invasione degli alieni, il tempo sfasato dall'arredamento e dall'equipaggio dei venditori di medicine: una non soluzione all'elenco di cose presenti in casa a rappresentare quelle mancanti nella vita. Una non soluzione è meglio di qualsiasi soluzione. Magari una soluzione al 70%.
Torniamo, se sei d'accordo, al concetto che nessuna opera può dirsi mai compiuta per analizzare meglio due canzoni Menelao e Paride, che chiudono il cerchio ideale con Elena, canzone già inserita nel tuo penultimo disco Voce. I personaggi di questa epica vicenda sono evidentemente tre, come tre sono le canzoni, ma in fondo è sempre solo lei il vero soggetto, il fulcro di tutto, sbaglio?
Non sbagli, è lei, Elena, l'unica, la regina che ha tutte le colpe e niente a discolpa, quindi è innocente. Non ha neanche responsabilità per la sua bellezza, che Gainsbourg definiva "la sola vendetta della donne". I vari punti di vista vengono esaminati nelle tre canzoni, sebbene quello di Elena, nella canzone eponima, sia osservato in terza persona. La bellezza non può essere vista dal suo interno, nemmeno da colei che ne è portatrice: per avvertirla ha bisogno di specchi, e comunque di vedersi da fuori. Il marito Menelao ha osato troppo sposandola, la bellezza non si può sposare se non a prezzo altissimo, e il rischio di svilirla è immenso. Paride l'ha rapita, cioè l'ha fatta innamorare, vittima egli stesso di una bellezza che comunque non può possedere. La bellezza fa infuriare e fa perdonare. Il grande equivoco, quando c'è di mezzo la bellezza, è l'amore. Si può considerare tale il desiderio di possedere la bellezza? Di tenerla per sé? O di conservarla su di sé? La bellezza può essere una grande corruttrice, va trattata con cautela, richiede un equilibrio da illuminati.
Abbiamo parlato di Menelao, non posso non chiederti del video che è stato realizzato per promuovere il brano, realizzato da un ottimo Oscar Serio con la straordinaria partecipazione della splendida Jesusleny Gomes. Come mai nel realizzare un videoclip è stato scelto proprio questo brano e com’è nata l'idea di realizzarlo così?
Ogni tanto sfrutto la fortuna di pubblicare per un'etichetta discografica, Azzurramusic, che ha un fondatore e leader, Marco Rossi. Nell'ascoltare il master per decidere la pubblicazione, gli ho chiesto due cose che ci tenevo fosse lui a stabilire, è bello che qualcosa del proprio lavoro sia deciso da qualcun altro. Un punto di vista esterno e professionale. Le due questioni riguardavano il titolo dell'album, che lui ha scelto opportunamente dalla terzultima traccia, e quale canzone fosse indicata per il video, da lui individuata in Menelao. Sono stato d'accordo su entrambe le scelte. La sceneggiatura del video è del suo realizzatore, Oscar Serio, con cui già girammo a Parigi il clip di Essi vivono. Jesusleny Gomes è un'amica imprenditrice che stimo molto. Ha fatto il cammino di Santiago da sola due volte e l'anno scorso ha percorso a piedi il Veneto incontrando gente in tutti i Comuni, un'impresa che la colloca tra le più interessanti figure integrate nel panorama sociale italiano pur non avendone la cittadinanza. Bellissima e molto spiritosa, già si era appassionata alla canzone Elena del precedente cd, nella quale un po' civettuola si riconosce. Il suo senso dell'umorismo le ha permesso di interpretare l'Elena della mia Menelao con la giusta dose di ironia. I suoi trascorsi di modella si sono riaccesi per un attimo nel ruolo dell'irresistibile cui il marito resiste. Non ho sbagliato a chiedere a lei: in questa pantomima che rievoca un po' le scaramucce alla Mondaini/Vianello, ha dosato una perfetta miscela di squisitezza, innocenza e nonchalance.
Le donne, ancora una volta, sono le grandi protagoniste delle tue canzoni, che si tratti delle amanti desiderate e amate "Anche se rispetto ad altre arrivano seconde" o di donne quasi ossequiosamente dipendenti dall'uomo, che ostenta sicurezza sapendo che "Non le importano i divi le scarpe il paté A lei importa soltanto di me". Certe donne si amano e Non le importa, le due canzoni che aprono il disco, come sono nate? Quanto attingono al proprio vissuto?
Va sempre tenuto conto dell'ironia, soprattutto nel caso del secondo brano.
Come spiego nelle note di copertina, il testo di Non le importa prende spunto da My Baby Just Cares for Me, brano del 1930 di Gus Kahn su musica di Walter Donaldson, ascoltato nella toilette di un ristorante a Montparnasse nella versione di Frank Sinatra. Il ritratto in terza persona di una donna da parte di un osservatore esterno mi ha rimandato automaticamente nell'immaginario a She belongs to me di Bob Dylan. In quella canzone però lei era speciale e distaccata, imprendibile e artistica, qui invece più che una descrizione della donna c'è una descrizione bidimensionale del protagonista che la canta. Convinto un po' come l'eroe di Non è Francesca di Mogol che lei viva per lui, non con la stessa disperazione sommersa ma con un attacco di maniacalità non meno grave, il protagonista se la racconta un po' e non sapremo mai se effettivamente le cose stanno come lui dice. L'insistenza sull'assolutezza di quell'amore univoco pone riserve istantanee con un tono che a me suscita ilarità, allegria. È bello essere del tutto convinti di qualcosa, è già un premio. In Certe donne si amano l'ironia c'è ma in misura ridotta. Il problema della donna che arriva cronologicamente prima di un'altra e per questo dovrebbe vedersi dedicato tutto l'amore per sempre è questione in cui già s'ingamberava Molière nel suo Don Giovanni. Vale per le donne come per gli uomini: non esiste soluzione alle scelte in amore, per questo ho messo all'inizio questa canzone. Si sbaglia sempre comunque e l'errore potrebbe portare fortuna. C'è una lista infinita di possibilità lasciate inesplorate, e a esse il brano è dedicato. Quanto attingono al mio vissuto? Basta pensare una cosa e diventa parte del proprio vissuto. Nella vita ci sono più pensieri che azioni. Anche se sono sempre un po' gli stessi, come peraltro le azioni.
Ci sono altri elementi che ricorrono ormai sempre più frequentemente nei tuoi dischi e che apprezzo molto, data la mia poca dimestichezza con la lingua inglese, sono le traduzioni di canzoni di altri, ancora una volta c'è l'amato Cohen con la sua famosa The stranger song qui diventata La canzone dello straniero, troviamo Simpathy for the devil dei Rolling Stones che si trasforma in Comprensione per il diavolo e infine i Dire Straits con la loro Romeo and Juliet, qui Romeo e Giulietta. Quest'ultima traduzione credo sia stata quasi una conseguenza logica dopo tante tue attività legate al capolavoro shakespeariano, ma forse anche la più difficile da rendere in italiano oppure quale tra le tre è stata la più ardua? Quale quella che ti ha lasciato più soddisfatto?
Sono tre storie diverse e questo è il bello. Comprensione per il diavolo è un atto d'amore per i Rolling Stones e per una delle loro canzoni più efficaci. Non facile da tradurre per la ritmica serrata e il numero di tronche che la lingua inglese permette e l'italiano mal sopporta. Il trucco è essere fedeli allo spirito sfuggendo alla letteralità, richiede innanzitutto una buona comprensione del testo che si va ad adattare. Se lo si è ben interpretato, poi le parole giuste vengono. Insegno songwriting al CSM College di Verona, e l'esperienza mi ha mostrato che chiunque abbia gli strumenti tecnici indispensabili, partendo dallo stesso testo, se l'ha ben capito, trova un'infinità di soluzioni individuali per tradurlo restando fedele a quello che dice l'originale. Ho fatto tradurre la Ballad of absent mare di Cohen ogni anno e ogni anno allievi diversi hanno trovato diverse soluzioni per dire le stesse cose. Le possibilità sono quasi infinite. La canzone dello straniero di Cohen, che nel disco è suonata con maestria alla chitarra dall'amico Max Manfredi, è quella che ha richiesto maggiore impegno a livello esegetico, uno sforzo superiore in principio per decifrarne le nuance. Romeo e Giulietta dei Dire Straits è il risultato di un compito che ho dato alla mia classe di songwriting due anni fa. Non do mai un compito che io non possa eseguire. Mentre loro lavorano, lavoro anch'io. Alla fine ho integrato il mio testo con quello dell'allievo Michele Gelmini, che aveva escogitato in alcuni punti delle soluzioni che ho ritenuto migliori delle mie, e l'abbiamo firmato insieme. Un lavoro di bottega, come si usava nel Rinascimento. Tutte e tre le traduzioni mi soddisfano, ciascuna per queste differenti ragioni, la soddisfazione è pari alla fatica compiuta. Tutto può essere tradotto, e ascoltare una canzone straniera comprendendone il senso è un regalo che non voglio rinunciare a offrire a chi mi ascolta.
In un disco dove il rock la fa da padrone c'è però spazio per una canzone più intimista come Irriconoscibile al mattino, la si può definire la canzone dell'amore nonostante tutto, nonostante la fatica, nonostante il tempo che passa?
È una canzone d'amore-passione, un sentimento che non ha a che fare con il tempo, quanto invece con l'attimo che tutto trasfigura. La passione che irrompe nella vita, se vogliamo, il pensiero speso per la persona amata perché non si può fare diversamente, il pensiero è monopolizzato. Quando si arriva tardi, dopo che sono passati altri, con gli altri ci si misura. Si arriva per ultimi e si punta a essere i primi, si punta a restare. Si spera di essere in grado di rimanere a dispetto dell'effimero intrinseco nella passionalità del sentimento. Niente di facile nel voler durare laddove l'attimo è ciò che maggiormente conta. Ciò che resta è il premio da conseguirsi costantemente nel concorso mai vinto del tutto, un concorso con prove d'esame continue, una lotta per essere sempre all'altezza unita al languore di abbandonarsi al fatalismo. L'amore-passione è una brutta bestia che quando manca fa sentire un vuoto e quando c'è riempie troppo.
Colgo l'occasione offertami dal parlar di concorsi e premi per affrontare l'ultima canzone di cui non abbiamo ancora parlato, Ciascuno ha il proprio festival, ironica riflessione sui tanti premi concorsi festival esistenti in Italia, i rancori per le esclusioni e magari il desiderio di rifarsi a proprio modo... Sai che i versi "Pagatemi e non vengo / Pagatemi e ci sono" mi ricordano un po' la morettiana questione: “Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?” Un domani ci sarà un tuo festival?
È vero, l'esempio di Moretti è incistato nell'archetipo dell'individuo che non sa come emergere con le proprie forze in un contesto sociale competitivo sebbene ludico. Invitati alle feste o invitati ai Festival, cambia poco. Una questione di visibilità. Essere ignorati è la cosa che pesa di più, per cui i festival proliferano, e sono interessanti a mio avviso soprattutto i direttori artistici, che nei festival trovano la loro visibilità tirannica, e i Patron, che nella fondazione di raduni su materie in cui talvolta non eccellono ottengono finalmente un riscontro a velleità in passato deluse. Uno non sa scrivere canzoni e fa un festival canoro, oppure sa scriverle ma non ha successo, e si fa il suo festival dove invita artisti di maggiore successo con una sorta di vampirismo bonario, il "positioning" che favorisce un'effimera illusione di luminosità personale. Trattasi spesso di riflessi che si spengono insieme ai riflettori. Non ho un mio festival e spero nessuno ne inventi uno a mio nome dopo la mia morte. Ma quanto della volpe e l'uva c'è in un'invettiva? Ciascuno ha il proprio festival in fondo, ridacchiando un po', è la mia Avvelenata.
Credo che ogni opera musicale sia fatta per essere rappresentata soprattutto dal vivo, questo nuovo disco, a differenza del precedente Voce non è però nato per sola voce e chitarra, ma è nato con sonorità rock e per essere suonato da una bella band, una bella sfida direi. Ci sarà la possibilità di ascoltarti in concerto o dobbiamo lanciare un appello?
I dischi in studio sono fatti per vivere come dischi in studio, secondo me. La ripetizione pedissequa dal vivo, quella in cui mai incorre Dylan per esempio, è atto feticistico più che riproposizione del gesto musicale in sé. Il gruppo di questo cd si chiama le Quotazioni, ed è pronto a suonare per Halloween, in occasione dell'uscita dell'album Fantasma, dal vivo, in teatro. Il concerto di presentazione è fissato a Verona al Teatro Laboratorio. Il resto è nelle mani di chi lo vorrà. Al di là degli appelli, i musicisti vanno pagati, e io pure. Se siamo pagati suoniamo, altrimenti facciamo dell'altro. L'idea diffusa nei club che i musicisti suonino per il loro piacere va scoraggiata con lo sciopero. "Pagatemi e non vengo, pagatemi e ci sono". Ore di prove, anni di preparazione, tutto questo richiede un riconoscimento in denaro, nessuno lo fa per puro diletto, almeno qui da noi.
Viva i cachet, abbasso le compresse.