Luca Bonaffini: Interview 21/11/2014

Posted on: 22/11/2014


Luca Bonaffini, compositore di musiche e autore di testi per canzoni, s’è affermato intorno alla fine degli anni ‘80 come collaboratore fisso di Pierangelo Bertoli, firmando per lui molti brani in album di successo, tra le quali "Chiama piano", all'interno dei quali compare anche come cantante, armonicista e chitarrista acustico. Dopo aver realizzato una decina di album a proprio nome, ha debuttato nel 2013 come scrittore con il libro "La notte in cui spuntò la luna dal monte" (edito da PresentArtSì), ispirato al suo incontro con Pierangelo Bertoli. Il 7 agosto scorso ha pubblicato il disco “Sette volte Bertoli”, in ricordo di Pierangelo e proprio di questa sua ultima fatica s’è parlato in questa intervista.

E' da poco uscito un tuo disco dal titolo "Sette volte Bertoli" che vuol essere il tuo omaggio al cantautore di Sassuolo. Credo che un buon motivo per ascoltarlo con attenzione sia che d’interi dischi di altri musicisti che interpretino Bertoli praticamente non esistano, però vorrei che fossi tu a darmene degli altri.

Esistono diverse tribute band ma, a differenza di De André, riscuotono consensi meno evidenti. Bertoli ha scritto canzoni popolarissime, ma con testi a volte molto fuori moda. Non solo come argomenti, ma anche come linguaggio. Gli italiani si lustrano la lingua dandosi dei toni "da letterati", perché sono convinti che tutto debba passare attraverso la cultura "alta", quella cattedratica. Angelo, così lo chiamavamo, era un vero cantore di storie civili. Un cantautore non di protesta, ma di "testa". Al di là dell'estetica letteraria, le sue restano poesie sociali straordinarie ...

Perché hai voluto intitolare così questa raccolta di suoi brani e soprattutto perché, dall'immenso patrimonio musicale lasciato da Pierangelo, hai scelto proprio queste sette canzoni?

Le canzoni che avrei voluto cantare erano almeno trenta ma io non sono in grado, con le mie possibilità vocali, di riproporle in maniera credibile. Volevo essere, anzi continuare a essere, il suo allievo; e allora, visto che considero Bertoli il cantautore delle cose quotidiane, volevo cantare una canzone al giorno.
I giorni sono sette ed ecco sette volte Bertoli, come una terapia ...

E' vero la tua voce e il tuo modo di cantare sono praticamente antitetici a quelli di Pierangelo che cantava con voce potente, forte, che scandiva in maniera secca le parole, però credo che, per alcune canzoni, tu abbia fatto un lavoro straordinario di ringiovanimento, soprattutto con "La luna è sotto casa" che, secondo me, nella versione originale aveva un arrangiamento un po’ datato, non credi?

Grazie del bell'apprezzamento. Ritengo “La luna sotto casa” un brano sottovalutato, perché considerato moralista. Non è così. Pierangelo aveva delle priorità ... ovvie, ma non per tutti. La superficialità è l'estensione massima del vuoto del protagonista della canzone che, in quanto a "masturbazioni cerebrali" - come direbbe Angelo - non ha uguali. Bertoli non lo giudica. Lo condanna, a misurarsi con se stesso!

Si, trovo sia una delle canzoni più belle, però ai tempi penalizzata da un arrangiamento un po' vecchiotto, come lo era ad esempio quello di "Due occhi blu" Credo che tu abbia saputo donargli una veste nuova, molto fresca, capace di mettere ancor più in risalto la bellezza dei testi, che dici?

Non saprei. Io sento le sue canzoni così. Alcuni arrangiamenti di brani scritti insieme come “Oracoli”, “Italia d’oro” e “Gli anni miei”, titoli anche degli album che contengono alcuni dei nostri successi, non corrispondono alla mia modalità immaginaria musicale, ovvero, quando li scrissi, me li fantasticavo più aerei. Ma la voce di Pierangelo li ha ingigantiti comunque ...

Un’altra canzone che dal restyling ha acquisito nuova linfa è "Il centro del fiume", canzone tra le più vecchie ma tra le più attuali, purtroppo aggiungerei. Perché hai deciso di inserirla nel disco?

Non la considero semplicemente attuale, bensì "permanente". Esprime la modalità tipica di chi, politicamente e umanamente, sceglie di "non muovere" le cose. "Il sesso è scoperto, però hai coperto l'amore", è una frase che dovremmo stampare sul promemoria della quotidianità.

E' vero. In questi giorni sto riascoltando un po' di canzoni di Pierangelo ed è sorprendente come i suoi testi suonino sempre attuali. La stessa "Maddalena", che hai voluto inserire in quest’omaggio, penso sia esemplare in tal senso. Stupenda poi la scelta di interrompere la musica prima di chiudere con "quasi fosse colpa sua". Io amo tantissimo questa canzone, quali sono stati i motivi che ti hanno portato a cantarla?

La diversità non è un luogo comune che coinvolge alcune categorie o classi sociali. Spesso è discriminante. Pierangelo parla nella sua canzone di un fatto personale (quello che riguarda un travestito) come di un problema sociale, reso problema dalla gente. Insomma, pare che l'omosessualità, anche oggi, sia oggetto di sfogo di rabbie da parte di chi non l'accetta. Ma spesso gli omofobi, tramite una strisciante indifferenza, nascondono un lato di curiosità omoerotica ... ne sono certo!

Ascoltando e riascoltando il tuo disco, mi sembra di poter dire che, attraverso l’interpretazione, si possa spostare l’accento di una canzone. Cerco di spiegare meglio il concetto, ascoltando “Varsavia” nella versione originale di Pierangelo, sembra prevalere la rabbia, la voglia di lottare contro le ingiustizie subite dalla gente sottoposta al regime mentre, nella tua versione, sembra prevalere la sofferenza, il dramma interiore di quelle persone, che è poi il dramma di chiunque non possa vivere la propria libertà. E’ solo una mia impressione?

Ognuno esprime la rabbia come può e come riesce. Io non amo urlare e, quando lo faccio, la faccio male. Divento isterico e poco credibile. Ma il mio modo di manifestare il dissenso o il disdegno verso certe azioni o fatti non ha meno forza. Grido piano, ma con la stessa intensità emotiva.

La stessa tua “Chiama piano”, in questa versione, sembra essere cresciuta ulteriormente. Pur senza la presenza di Fabio Concato devo dire che, invece che perdere smalto, sembra aver acquisito la giusta maturazione, un po’ come un buon vino rosso cui gli anni trascorsi non hanno fatto altro che accrescerne la qualità.

Nasce scritta da me che sono un cantautore, non solo autore. Pierangelo capì bene questa cosa dal primo momento che misi piede in casa sua nel 1983. Io l’ho sempre cantata, fin da quando uscì per La Ricordi nel 1990, a modo mio. È naturale che, a differenza di allora, non ha più lo svantaggio di un confronto recente. Allora era in cima alle classifiche ed io pressoché sconosciuto. Il confronto era ovviamente pesante. Oggi io la canto ancora più libero di allora, ma posso ancora studiarla, rifarla e – magari – modificarla, migliorandomi. Pierangelo e Fabio l’hanno cantata insieme una volta sola e hanno vinto, nel giro di poche settimane, un disco d’oro. Insomma, ognuno di noi l’ha cantata meglio che poteva….

“Per dirti t’amo” e “Eppure soffia” sono senza dubbio le canzoni meno rimaneggiate. “Eppure soffia” è uno dei testi di Pierangelo più riusciti per la forza dei suoi contenuti e la sua estrema sintesi, in questa versione sono coinvolti anche il figlio Alberto Bertoli e Flavio Oreglio, com’è nata questa vostra collaborazione?

Alberto lo conosco dall’83 (quand’era bimbo); Flavio dall’85 quando stava iniziando. I due cognomi, Bertoli e Oreglio mi hanno portato fortuna. E, inoltre, rappresentano due estremi modi di contestare attraverso la musica: quella popolare d’autore di Pierangelo e quella del teatro canzone satirico di Flavio (introdotta da Gaber). Infine io sono mantovano, un lombardo in odor d’Emilia. Bertoli di Sassuolo e Oreglio di Peschiera Borromeo in provincia di Milano. E la canzone è una delle più belle ballate italiane mai scritte. Quindi, abbiamo “soffiato” insieme.

Forse questa domanda avrei dovuta fartela per prima, com’è nato il sodalizio artistico tra te e Pierangelo?

Prima da fan (io, ovviamente…). Poi allievo e frequentatore…. Poi come autore. Infine come chitarrista acustico dal vivo, collaboratore fisso e amico. Nel 1993 mi ha anche prodotto un album per la Sugar Music. Ha fatto il massimo.

Cosa amavi di più in Pierangelo e cosa invece magari non condividevi? Tu che l’hai conosciuto bene da vicino, in Pierangelo l’uomo e l’artista erano figure ben distinte o, invece, com’era sul palco davanti al suo pubblico lo era anche nella vita quotidiana?

Identico. Palco e vita erano la stessa cosa perché, prima di tutto, per lui c’erano le persone. E i suoi sentimenti. La musica e i dischi erano la parte della vita che gli permetteva di entrare in contatto con la gente. E di crescere e di aiutare gli altri a crescere.

Rivedendo nei giorni scorsi un’intervista televisiva storica di Enzo Biagi a Pierangelo, all’interno di una trasmissione in cui si parlava di Handicap, mi sembrava di vedere da una parte il giornalista spingere sull’acceleratore del pietismo, nel desiderio di sentirsi dire da Pierangelo che la sua vita fosse stata un inferno e dall’altra Pierangelo insistere sul fatto di aver vissuto un’infanzia in tutto “normale”, dove anche con gli amici aveva potuto fare tutto, forse solo a pallone non riusciva a giocare … Com’era in realtà il suo rapporto con il suo handicap e com’è stato invece il tuo con il suo handicap?

L’Italia è un Paese che fonda gran parte della propria cultura storica sul pietismo e sugli eroi perdenti. Pierangelo era un vincente in panchina per forza maggiore, parlando di calcio. Ma vinceva comunque perché era un capo squadra, uno stratega della comunicazione “vera” (non contraffatta) e un uomo di azione che non temeva di mettersi in gioco personalmente. Lui non ha mai fatto trapelare alcuna difficoltà con me, se non quella evidente delle barriere architettoniche. Io, a un certo punto, mi dimenticavo – grazie alla sua intelligenza – di tirare giù la carrozzina dall’auto. Per me, lui non camminava. Correva proprio.

So che in questi giorni sei molto impegnato nel promuovere il disco, attraverso web, radio e tv. Seguirà un tour o il disco stesso può considerarsi il sigillo a quella serie di date che hai tenuto nei mesi scorsi, legate alla pubblicazione del tuo libro “La notte in cui spuntò la luna dal monte" (edito da PresentArtSì), ispirato al tuo incontro con Pierangelo? Anzi colgo l’occasione per chiederti com’è nata l’idea di questo libro e com’è stato accolto dai lettori.

Il percorso di elaborazione e di recupero del “me stesso” legato a Bertoli è concluso. È durato oltre due anni, dalla pubblicazione del libro di Mario Bonanno (marzo 2012) all’ultimo concerto di Cologne tenutosi in occasione del 25° anniversario della Caduta del Muro di Berlino, dove Alberto è stato ospite e protagonista. Adesso Pierangelo ritorna nei miei spettacoli, nei miei album con uno spazio più regolare, più giusto. Io non voglio e non devo essere la bandiera di Bertoli. Sono solo un suo fan divenuto allievo e fortunato testimone di una parte della sua carriera. Ci sono, ribadisco, tribute band eccezionali, c’è Marco Dieci (suo alter ego storico e autore prodigioso), c’è il figlio (che quando canta fa davvero venire i brividi, per bravura e talento). Io ho scritto e pubblicato 11 album. E ci sono tantissime canzoni inedite nella mia libreria, ci sono artisti da produrre che hanno bisogno del mio supporto, nuovi spettacoli da scegliere, scrivere e dirigere. E magari, qualche altro racconto…

L’ultima domanda vuol essere un po’ una provocazione. In un’intervista realizzata a Pierangelo, al termine del concerto tenutosi al Teatro Carani di Sassuolo nel 2000, per i suoi venticinque anni di carriera, Bertoli a una domanda dell’intervistatrice che gli chiedeva se amasse sentire le sue canzoni cantate da altri, rispose “quella che ha cantato meglio una mia canzone è stata Ornella Vanoni sicuramente” però aggiungendo, senza peli sulla lingua, “in generale no, mi piace più cantarle io”. Come pensi avrebbe accolto il tuo disco omaggio?

Mi avrebbe tolto il saluto. Scherzo. Non lo so, sinceramente. Ma so che ai suoi appassionati, alla sua famiglia, alla sua gente, la cosa non è dispiaciuta. E questo per me è sufficiente.

Luca Bonaffini
Luca Bonaffini