Recensione di Fabrizio Pucci
Pubblicato il 24/10/2015 - Last updated: 07/12/2016
Sono stato attirato da questo libro sull'arte di correre per due motivi.
Mi sono avvicinato alla corsa, seppur in tarda età e ne sono entusiasta.
Apprezzo il Murakami scrittore e volevo capire il suo modo di "sentire" la corsa. Infatti la corsa è una pratica difficilmente spiegabile a chi non l'ha mai fatta e a chi non l'ha mai capita dal punto di vista mentale. Trascende il semplice mettere un piede davanti all'altro per un certo lasso di tempo. Diventa un mondo mentale, uno spazio psicofisico diverso.
Eppoi si sa.... la corsa è spesso legata alla musica, da molti anni ormai (cioè da quando esistono dispositivi abbastanza piccoli come walkman, iPod, DAP, cellulari, per ascoltarla) si corre con un paio di cuffie indosso! Ad alcuni dà la carica, altri la ascoltano per non annoiarsi (anche se chi entra nello "spirito" della corsa difficilmente si annoia), altri ancora approfittano della corsa per fare contemporaneamente un'attività culturale come quella di ascoltare musica con concentrazione.
Correre per me è libertà, rilassarsi, scaricarsi dagli stress, rimanere soli con se stessi, è un momento bello della giornata che dedichiamo a noi stessi, è riflessione.
In questo libro scritto a cavallo di due anni, tra l'estate 2005 e l'autunno 2006, Murakami racconta di come ha iniziato a scrivere, di quando ha chiuso il suo jazz bar e ha iniziato ad allenarsi e a partecipare alle maratone. Una volta addirittura ha corso per 100 km ad un'ultramaratona. Successivamente poi si è avvicinato al triathlon, lo sport dove si nuota, si va in bicicletta e si corre, disputando numerose gare.
E' interessante il libro, non solo perché l'autore ci parla della corsa, ma anche perché ne esce fuori in qualche modo un ritratto del Murakami persona, il rapporto tra il correre e lo scrivere, la meticolosità con cui l'autore si prepara alle gare, la sua forza di volontà.
Per Murakami la corsa è il giusto complemento al suo mestiere di scrittore, statico, che si fa da seduti, come un qualunque lavoro da scrivania. A riguardo dice "Se continuo a esercitarmi con tanto impegno, infatti, è per regolare e potenziare le mie capacità fisiche in modo da poter dare il meglio nella scrittura".
Nel racconto compare anche la moglie, la casa, ma senza una messa a fuoco specifica. E' maggiormente descritto il suo rapporto con la musica.
Quando corre Haruki sente musica, all'epoca della scrittura di questo libro precisamente con un lettore MiniDisc Sony. Nel libro parla dei suoi amati "Lovin' Spoonful", di Carla Thomas, di Otis Redding, di Neil Young.
Ricorda che nel 1983 "i Duran Duran e gli Hall & Oates erano sulla cresta dell'onda".
Dice che il rock è il ritmo che si addice alla corsa e cita i Red Hot Chili Peppers, i Gorillaz, Beck, i Creedence Clearwater Revival e i Beach Boys. Dei Rolling Stones ricorda l'album "Beggars Banquet", ed in particolare il brano "Sympathy for the Devil": "come accompagnamento musicale per correre, il coro funky che fa ho-ho in sottofondo in Sympathy for the Devil è perfetto".
Menzione anche per "Reptile" di Eric Clapton: "non c'è nulla che valga Reptile mentre si corre di prima mattina".
Nella bibicletta usata in quattro gare di triathlon, ha fatto scrivere "18 til I die", che è il titolo di una famosa canzone di Brian Adams.
Ma Haruki Murakami non ascolta solo musica in corsa, scopriamo infatti che è un grande collezionista di dischi, ne compra da quando aveva 15 anni. Musica jazz, ma anche classica e rock.
"L'arte di correre" non è un manuale per la corsa, ma una autobiografia dedicata alla passione dell'autore per la corsa. Se non vi accostate con gli intenti sbagliati, è un libro interessante e scorrevole che non vi deluderà.
Il libro può anche essere un punto di partenza per ulteriori riflessioni, per chi corre con malavoglia perché si è messo in testa dei risultati e per conseguirli esagera, facendo gare che non gli danno gioia, ricorre all'eccesso di tecnica, seguendo tabelle per alimentazioni misurate, cardio frequenzimetri, scarpe super tecniche dal costo improponibile, braccialetti smartwatch iper tecnologici e magari sostanze al limite del dopante. Tutto ciò allontana dall'originale spirito della corsa che è libertà e non costrizione.