Per il concerto di Paul Weller a Genova, organizzato e promosso dalla sinergia tra Habanero Edizioni e Barley Arts Promotion, non sono mancate le sorprese a fronte di altre solide certezze. L'ex leader carismatico dei Jam prima e dei Style Council dopo si è presentato al suo pubblico adorante con il solito ardore e la solita smania di suonare frutto della passione e di una personalità che per anni ha calamitato in maniera inesorabile tutto quello che gli girava attorno.
Per quei pochi che non lo sapessero Paul è una vera istituzione nazionale nel Paese d' Oltremanica, una sorta di totem e mediatore culturale della tradizione british in giro per il mondo. Una figura di assoluto valore, presa ad esempio da più generazioni di musicisti e giovani inglesi. Non a caso il suo soprannome è Modfather a sottolineare l'investitura sociale concessagli e riconosciutagli dalla gente comune in genere e da tutta la sottocultura giovanile che si rifà alle figure ormai mitiche dei mods di prima e seconda generazione.
Una certezza è stato rivedere tutto “un apparato” di fans e appassionati inquadrati nel più ferreo rispetto di alcuni dettagli del look e della cultura britannica in genere, movimentarsi in massa per un evento tanto atteso quanto inaspettato. La sorpresa è stata il vedere tanti giovani al fianco di un folto e maggioritario gruppo di “nostalgici” ancora legati ai loro codici distintivi fieramente esibiti con senso di appartenenza (la Fred Perry, il taglio di capelli, la maglietta storica, il giubbino, la scarpa adeguata).
Un'altra certezza è stato vedere ben sei dandy sul palco (addirittura il percussionista con tanto di fazzoletto nel taschino della giacca) esibirsi in maniera impeccabile e con un tiro e una garra da band di esordienti per circa due ore e mezza di concerto. Certo avere come motore Weller, dallo spirito mai domo e dalla voce ancora sorprendente, è un viatico non da poco per il resto del gruppo: smania di strafare, ma sapendo di poterlo fare. Questa la forza dell'uomo che si è presentato al Porto Antico di Genova di fronte a noi umani declinati e incantati. La sorpresa è stata invece il poter constatare un livello più che buono dell'impianto audio della struttura. Avevo già constatato in passate occasioni la bontà della location (Piazza delle Feste del Porto Antico) per fare musica e devo dire che la sensazione è stata confermata, portandomi a pensare che l'architettura stessa del luogo, il lay-out conseguente e la dislocazione sul territorio del tendone tra le acque abbiano creato una sorta di impianto acustico ideale.
L'ennesima certezza è stato constatare che quando si fa musica di qualità, presentata in maniera dignitosa, Genova musicale sa come sempre rispondere alla grande. Ahimè ci vorrebbe un passaggio di testimone intergenerazionale un po' più importante, ma si sa Genova da anni sta invecchiando anagraficamente e si fa fatica ad attrarre nuovi giovani come fanno le grandi capitali della musica italiana (Milano, Bologna e Torino su tutte). Speriamo che le cose prima o poi cambino.
L'ultima sorpresa che volevo segnalare è stata quella di credere di andare al “A kind revolution tour” e ritrovarsi invece in un viaggio a ritroso nel tempo come solo i grandi della musica possono e sanno fare. Certo, opinione personale, suonare solo quattro tracce del nuovo e ultimo lavoro (Nova, She Moves with the Fayre, Woo Sé Mama, Hopper) lo trovo abbastanza singolare, ma del tutto rispettabile. Tanto più se si tratta di certi mostri sacri. Non sono mancate al contrario le tracce storiche (riconosciute con approvazione e visibilio dai vecchi fans, una su tutte Shout to the top) che hanno finito per connotare la serata come revivalistica piuttosto che avanguardista.
Venendo al live mi è piaciuta molto la scelta di intrattenere il pubblico, negli istanti appena prima l'inizio del concerto, sulle note di Tomorrow Never Knows di Revolveriana memoria, così come la scelta (non so se calcolata o spontanea) di eseguire addirittura tre encore con relative uscite e rientri dal palco. Non mi è piaciuta la mancanza di ottoni suonati dal vivo, laddove i brani prevedevano questi inserti meravigliosi. Non mi è piaciuta la scelta artistica per me discutibile di eseguire un intero bis, eseguendo tutti i brani in acustica. Momento di smarrimento emotivo per il pubblico stanco a sua volta per l'orario ormai prossimo alla mezzanotte, fortunatamente bilanciato dall'energia dei successivi due rientri sollecitati a suon di fischi assordanti e applausi del pubblico.
Cosa rimane di questa serata: la sensazione che Genova con l'abito da sera da il meglio di sé e che il Porto antico è un bacino, una zona non solo bella e incantevole, ma di una poesia davvero senza limiti se sotto le stelle e il bigo si ascolta e si fa musica. E ancora rimane il lontano sospetto che i grandi del passato avessero un fuoco tale dentro di sè che li ha permesso di arrivare indenni ai giorni nostri. Dei nuovi chi sarà ricordato tra vent'anni? Ultima considerazione tutta per lui: Paul Weller. Un grande artista, un grande fratello, la cui musica risulta ancora attuale; ma soprattutto è l'uomo che rapisce per la sua capacità empatica di stabilire facilmente un contatto sia con i giovani, sia con i suoi coetanei. E poi quella chitarra in mano. Dice più di mille parole.