Pippo Pollina
Fra due isole
Fra due isole: 25 anni racchiusi in 70 minuti, fra impeto e passione!
Quando si tentano operazioni come questa, cioè scegliere un pugno di canzoni, quelle che si considerano magari le migliori, decidendo di ripresentarle al proprio pubblico facendosi accompagnare da un’intera orchestra sinfonica i rischi che si corrono sono davvero tanti, si rischia prima di tutto di snaturare l’impianto musicale delle canzoni stesse, come è accaduto spesso anche nelle passate edizioni del Festival di Sanremo in cui spesso le canzoni assumevano connotazioni totalmente diverse da quelle possedute nella loro versione originale oppure, al contrario, si rischia di utilizzare l’intero impianto sinfonico come un semplice elemento di sfondo, un’intera orchestra appiattita in un’unica voce, senza quindi dare alcun valore aggiunto all’intero lavoro svolto dalle due componenti, il cantante e il corpo orchestrale.
In proposito è chiaro Pippo Pollina nel libretto del disco, quando dice “Nella maggior parte dei casi infatti, quando due mondi apparentemente lontani, quali sono quelli della musica classica e sinfonica da una parte e la musica “pop” o la cosidetta canzone d’autore dall’altra, si incontrano, avviene un movimento che induce la dimensione sinfonica ad avvicinarsi a quella “chanson”. In un tripudio di violini e di ottoni si sfiora il “kitsch” per amore di non snaturare l’impianto melodico della canzone e per consentire al cantante di rimanere nel pieno possesso del suo territorio musicale, “Fra due isole” è l’esatto contrario. L’idea di base è quella di rimuovere la dimensione cantautorale delle mie composizioni in una direzione sinfonica”.
Di questo problema è pienamente consapevole anche il direttore d’orchestra Massimiliano Matesic, chiamato a dirigere i circa 70 elementi che compongono l’Orchestra Sinfonica del Conservatorio di Zurigo e che sempre nel libretto dice “Ho immaginato subito come una doppia sfida l’idea di mettere insieme un repertorio che si avvalesse di un’orchestra di musica classica accanto a Pippo e a un batterista: da una parte tutti i procedimenti melodici e armonici che la band originariamente assume con carattere improvvisatorio andrebbero trasposti in modo dettagliatissimo in un determinato linguaggio orchestrale. Era chiaro sin dall’inizio che molte coloriture e sfumature così connaturate allo stile di Pippo non potessero essere riprese dagli strumenti di un’orchestra sinfonica. D’altro canto gioca un ruolo non proprio secondario un aspetto di carattere pedagogico: era pianificata una lunga tournée italiana e non volevamo porre l’Orchestra sinfonica giovanile in seconda linea come “accompagnamento” bensì farla esibire alla pari con Pippo come partner musicale”.
Ecco allora che in questo disco le due componenti, cantante ed orchestra, dialogano fra loro e secondo le necessità è l’uno o l’altro a tirare le fila e a prevalere.
In "Marrakesh" ad esempio, intimistica canzone sul tema dell’emigrazione “E porto gli stracci d’amore / e c’ho sorrisi da regalare / per i viandanti d’oltremare” l’orchestra ha semplicemente un ruolo marginale di puro accompagnamento, mentre è la batteria suonata da Marco Agovino a trascinare ritmicamente il pezzo fino alla ripresa finale dell’orchestra.
Ben diverso è invece il ruolo svolto dall’orchestra nel conclusivo brano “Canzone sesta”, una canzone che nella riscrittura orchestrale assume una cadenza in continuo e lento crescendo tipo Bolero di Ravel, fino all’impetuoso finale in cui l’ira ed il furore dell’invettiva politica del rabbioso testo di Pippo Pollina sono sostenuti dal vigore e dalla forza quasi straripante dell’orchestra per giungere ai conclusivi e sconsolati versi “Perché esiste un passaggio comune, un comune destino / che fa più vita la vita e non fa sconti per nessuno”.
Ancora complesso è il carattere sinfonico di “Sambadiò”, brano in cui le percussioni ed i fiati interagiscono con Pippo, anche se meno pesantemente che nel precedente brano, accompagnando e sottolineando la splendida melodia scritta da Pippo per questa canzone che racconta il dialogo d’amore di una donna che cerca di addormentare proprio figlio in un paese straziato dalla guerra cantandogli “Ma un bel giorno questa guerra finirà / e sui muri della città / cresceranno i fiori che ti darò / sambadi sambadiò”, il pezzo ha la caratteristica malinconia di tante nenie slave e tzigane.
Un brano particolare è invece “Chiaramonte Gulfi” dove l’orchestra suona con ritmo incalzante e volutamente forzato tanto da sembrare a tratti una fanfara di paese, quasi a voler sottolineare quella atmosfera festosa di chi, migrante e lontano dalla propria amata terra, torna in paese e trova “L’anima pigra dei muretti a secco / degli agavi in fiore e l’odor del tabacco / degli anziani che giocano a carte giù in piazza” e vergognandosi della propria umile situazione di operaio in una delle tante fabbriche sperse nelle nebbie della Brianza, si inventa di aver fatto fortuna a Toronto.
Ci sono poi momenti toccanti come “L’amore dopo la caduta del muro”, canzone che è introdotta da Pippo recitando questi brevi versi “Sotto i tigli ti porterei / ad indossare / questa vita che scivola via / senza un goccio di vodka / senza un po’ di magia”, poi è lo stesso Pippo al piano a condurci per mano in questo intenso canto d’amore in cui l’orchestra si limita a fare solo da accompagnamento, quasi stesse in contemplazione.
Un altro pezzo coinvolgente è “Due di due”, brano intenso e triste sulla vita da emigrante, caratterizzato da uno struggente e malinconico sguardo verso il proprio passato e verso tutto quello che si è lasciato in cerca di fortuna “Ti ricordi Giovanni / le parole della zagara / le ombre di Segesta e gli spari sulle piazze / Io non ho mai dimenticato l’odore della terra / quando d’improvviso piove / e noi muti al riparo”.
Sono, però veramente tante le sottolineature che mi verrebbe di fare sui brani scelti per questo disco, come ignorare ad esempio canzoni come “Leo” introdotto dalla forza suggestiva degli archi, una canzone suonata da Pippo al pianoforte e piena di sincero amore per la poesia di Leo Ferré “Quando rileggerò le tue candide invettive, / quando riascolterò le tue acque sulle mie rive, / e mi disegnerai come la prima volta / una profonda vertigine davanti la mia porta”, sinceramente un brano commovente che è meglio non ascoltare al farsi della notte perché allora trattenere le lacrime è una fatica.
Oppure come non sottolineare “Il cameriere del Principato”, un brano invece spumeggiante e trascinante capace di far smuovere mani e piedi anche ai più pigri e di far sorridere l’ascoltatore per l’ironia di cui è impregnato, anche se a ben pensarci ci sarebbe da piangere oppure “Il pianista di Montevideo” che al ritmo di tango ci porta in una “città così piena di orologi il tempo non si ferma nemmeno per gli indugi” tra echi di Piazzolla.
Forse mi sono già dilungato troppo per questo se tralascio di citare gli altri brani è solo per questioni di spazio, voglio invece concludere dicendo che forse racchiudere 25 anni di carriera e ben 21 dischi alle spalle in un solo disco, anche se con i suoi 14 brani e due bis dura circa 70 minuti, è un’impresa ardua, però il risultato è stupefacente perché c’è impeto politico, c’è l’amore, c’è la passione di scrivere canzoni con cura artigiana, ci sono sentimenti forti e sinceri capaci di coinvolgere chi ascolta, a volte fino alla commozione.
L’augurio che faccio a Pippo è quindi quello di vivere almeno altri 25 anni di carriera musicale altrettanto intensi e ricchi di soddisfazioni, lo dico per lui ed egoisticamente per noi che beneficiamo delle sue poetiche creazioni.
Pippo Pollina
Fra due isole
Tracks:
- 1) Ouverture
- 2) Leo
- 3) Marrakesh
- 4) Chiaramonte Gulfi
- 5) Due di due
- 6) Il pianista di Montevideo
- 7) Signore da qui si domina la valle
- 8) I ragazzi della Via Paal
- 9) L’amore dopo la caduta del muro
- 10) Sambadiò
- 11) Canzone quarta
- 12) Il giorno del falco
- 13) Il cameriere del principato
- 14) Canzone sesta
Renseignements pris à partir du disque
Pippo Pollina: voce, pianoforte e chitarra
Musica e testi di Pippo Pollina tranne “L’amore dopo la caduta del muro” scritta con Linard Bardill e “Tammurra e vuci” (musica di Massimo Laguardia e testo Pippo Pollina)
Arrangiamenti e orchestrazioni di Massimo Matesic eseguiti dall’Orchestra Sinfonica del Conservatorio di Zurigo, con la partecipazione di Marco Agovino alla batteria.
Registrazione dal vivo di Patrick Muller effettuata il 5 settembre 2009 al Volkshaus di Zurigo
Progetto grafico di Chiara Fenicia.Fotografie di Simon Veroneg / Fotografia interna di Pippo Pollina di Christian Geisler
Produzione esecutiva di Rambaldo Degli Azzoni Avogadro (Storie di Note) e Giuseppe Perna (Ivents Kulturagentur)