Piero Sidoti
Genteinattesa
Un disco sapido, tra continui giochi di parole!
Lucio Dalla nella prefazione al disco scrive:
“Senza entrare nel bosco delle parole e nella trappola della retorica, vi do l’unico consiglio per gustare questo disco: prendete il fiato, trattenetelo e buttatevi giù fino in fondo”.
Mai consiglio è stato più mirato ed utile, perché, in effetti, ad ascoltare questo disco del friulano Piero Sidoti la sensazione è proprio un po’ quella che si prova nell’abitacolo di una di quelle vetture dell’ottovolante, quando si sale piano piano fino al culmine della salita nella attesa di quel precipizio che poi ci inghiotte vorticosamente, quando di botto si libera l’adrenalina ed è come un atto liberatorio.
Non ci credete? Provate a metterlo nel vostro lettore… si parte piano, con “Venere Nera” un brano notturno dalle sonorità dolcemente sudamericane, ci sono la voce scura un po’ da orco di Sidoti e la voce molto saudade di Alessandra Pascali, le percussioni morbide, tutta la dolcezza del sax di Antonio Marangolo ed infine la vera protagonista di questa bella canzone, una puttana di colore per la quale le strade “Sono milioni di voci / sono attese avvitate / sono soltanto giornate e giornate / e giornate passate” sotto una luna che forse “Brillerà un giorno / di soldi e fortuna”.
Poi con “Pecore bianche” ecco che di botto si parte attraverso le rapide di un fiume di parole “Precipito, precipito / precipitevolissimevolmente vivo la mia vita / senza viver niente veramente / Mi arrampico, mi inerpico per un percorso ripido / ma sempre senza farlo seriamente" e poi ancora “Girare girare / girare e rigiare attorno a vicoli contorti / alle rotonde con i sensi capovolti / partire senza verso e ritornare senza senso / e raccontare in ogni modo d’aver vinto”, il ritmo è forsennato e quasi infinito è il gioco di parole per narrarci il dramma di chi non vuole “diventare come tutte quelle tante pecore bianche”, quella omologazione che uno dei mali della nostra società.
“Bobby e il ballerino” ci racconta la sofferenza di un uomo di spettacolo, un ballerino della Scala un tempo abituato ad essere al centro dell’attenzione e che ora è ormai solo con l’unico amico vero, il proprio cane Bobby e che piange perché pensa “Ora in poltrona con un pannolone / non c’è un giornalista o un coglione / che voglia parlare con me” e rivolgendosi al cane dice “Bobby non puoi neanche immaginare che razza di grandi puttane / facevano la coda per me”, in questo pezzo dall’aria vagamente jazz e malinconico è riassunto con levità tutto il triste declino della vecchiaia.
“Bella la vita come una ferita / come la polvere che non si stacca / più dalle mie dita / bello il tuo sguardo / che la dolcezza che porti / discioglie le statue di marmo / è uno scherzo / che ogni secondo ci ha / dipinto il volto a piacimento / ed il tempo / è un motore col silenziatore / che non lascia un suono / un rumore un ricordo / è senz'altro uno sbaglio uno scherzo” così parte “Giocattolo” sicuramente uno dei vertici del disco, non solo per il gioco prezioso ed ardito che si fa del linguaggio, ma anche per la gioiosità della musica in cui troviamo Marangolo non solo alla tromba ma anche tra le voci del coro. Da ascoltare tutto d’un fiato.
Altrettanto istrionica è la successiva “L’acqua risale” un azzardo quasi impossibile come si intuisce sin dal titolo, qui il gioco di parole si fa più arduo, c’è anche un riallacciarsi musicalmente a “Nel blu dipinto di blu” e a “Il cielo in una stanza”, il significato di tutta l’operazione mi resta un po’ oscuro, ma forse vuol solo significare che con tutto si può giocare non solo con le parole ma anche con le melodie ed allora può starci benissimo anche un finale decisamente arabeggiante.
E’ giunto il momento di una canzone d’amore e “Da difendere” ha tutte le carte in regola, è una bella canzone, delicata, che si chiude con la presenza evocatrice del violoncello ed argina, solo per un istante, il flusso torrenziale di parole di Sidoti, ma anche qui i versi non mancano certo di originalità “Quando sei l’unica quando precipiti / quando sei rapida e quando più esotica / quando semplifichi quando è difficile / quando soltanto sei da difendere”.
Con “I giovani” si riparte con ritmo sostenuto e con sfrenata ironia, il bersaglio sono i “bamboccioni”, quei giovani che a trent’anni sono ancora pieni di paure come quando erano piccoli, che non si sognano minimamente di camminare con le proprie gambe “Lo so che ho già trent’anni / sono un uomo ed è un po’ strano stare a casa / credo scusa / ma fuori c’è una crisi / che si guadagnava più restando a scuola / allora scusa canto”, sa molto di presa in giro ma con spirito positivo, perché in fondo si ripete “I giovani bisogna capire i giovani / bisogna sentire i giovani”.
“La conta di Caino” è un testo particolare che tratta di un tema molto serio come può essere l’attesa di un condannato a morte, l’approccio è però originalissimo, perché è come se fosse una conta di quelle che si usano da bambini nei giochi, la musica è allegra e sa molto di america latina, c’è un bel duetto di voci tra Piero ed Alessandra ma il finale amaro è ovviamente inevitabile “Balza rimbalza la sedia della gabbia / scarica la rabbia con il volto capovolto” ed il titolo è come un inequivocabile giudizio sull’operato umano.
Il successivo “La mia generazione” sembra il contraltare della canzone “I giovani”, d'altronde cosa mai ci si potrebbe aspettare di diverso da una generazione che ha questo intimo desiderio "Da grande voglio fare il nonno / voglio cambiare occupazione / e dall'assegno famigliare / voglio passare alla pensione", Sidoti afferma allora che “La mia generazione ha pochi battiti del cuore / non per l’intelligenza ma per l’indifferenza / verso l’indecenza” e forse centra il reale male della nostra società, ossia l’indifferenza.
E’ giunto il momento di staccarsi un po’ dalla realtà per entrare nel regno delle fiabe quelle popolate da streghe mai amate e lupi cattivi ascoltati da nessuno, tutti personaggi anche loro come tanti bisognosi di attenzione, la musica è suadente, il sax di Antonio Marangolo magico così come il violoncello di Salvatore Maiore, tutto calza a pennello come il gioco di voci tra Sidoti e Alessandra Pascali, sembra un po’ di essere fuori da ogni luogo ed ogni tempo come recita l’inizio del brano “Suonava quel vecchio motivo / pestava quel piano scordato e scassato / fra mille invitati annoiati annodati / in cravatta a una festa di lacca”.
Come ogni fiaba che si rispetti non può però mancare “L’orco”, che in un brano costruito sulle percussioni ottiene la propria rivincita perché una volta tanto protagonista di una dolce canzone in cui può riscattarsi fino ad arrivare a dire “Ti apparirò nei sogni / senza mai bussare / e una notte ti verrò a mangiare e a… / dondolare dondolare dondolare / Voglio un cannocchiale per poterle dimostrare / che ogni suo frammento è un evento eccezionale”.
Il disco si chiude con una canzone molto teatrale “Lo scemo del villaggio” che dal punto di vista linguistico è forse l’apoteosi del nonsense “Se svelto mi volto l’orecchio mordo / pensando a te / se vado allo specchio dentro c’è un vecchio e non so chi è / Lui è come Polifemo / lui è Achille col tallone / che regala a te / Lui è un abito monovolume / per fare a spazio a te / lui è chiuso in un telegiornale / che parla di te”, sembra tutto senza senso, ma forse siamo solo noi che ci riteniamo “normali” a non riuscire a capire chi è così “diverso” da noi.
Concludendo il disco mostra una spiccata originalità, che lo pone senza dubbio molto al di sopra della media, con molteplici punti di forza tra cui una capacità di scrittura impressionante basata molto sui giochi di parola (già lo stesso titolo può essere inteso come “gente in attesa” o anche come “gente inattesa”, giochi che rischiano però, se non tenuti a freno, di cadere nell’errore di essere fini a se stessi, arrangiamenti di altissimo livello grazie al contributo di un musicista esperto come Antonio Marangolo, un ottimo libretto arricchito dalle illustrazioni di Gianluca Buttolo.
Un disco sapido, dal gusto ricco e deciso, che non può lasciare l’ascoltatore indifferente.
Piero Sidoti
Genteinattesa
Tracks:
- 1) La venere nera
- 2) Pecore bianche
- 3) Bobby e il ballerino
- 4) Il giocattolo
- 5) L’acqua risale
- 6) Da difendere
- 7) I giovani
- 8) La conta di Caino (il condannato a morte)
- 9) La mia generazione
- 10) La rapina
- 11) L’orco
- 12) Lo scemo del villaggio
Renseignements pris à partir du disque
Piero Sidoti: voce, chitarra (2, 3, 4, 5, 6, 9, 12), cori (4), programmazione percussioni (5, 9), chitarra classica (11)
Roberto Dani: batteria (1, 8), percussioni (1)
Claudio Giusto: batteria (2, 3, 4, 7), percussioni (2, 4, 5, 11)
Salvatore Maiore: contrabbasso (1, 8), violoncello (6, 8, 10)
Francesco Bertolini: chitarre classica (1, 7, 8), chitarra semiacustica (1, 7, 8, 10, 11), chitarra elettrica (11), basso chitarra (11)
Antonio Marangolo: piano (1, 3, 4, 6, 8), sassofoni (1, 2, 5, 6, 7, 8, 9, 10), tastiere (2, 3, 4, 5, 7, 9, 11, 12), tromba (4), percussioni (5, 6, 9, 10, 11), cori (4)
Alessandra Pascali: voce (1, 8, 10)
Antonella Macchion: violoncello (6)
Antonio Vella: fisarmonica (12)
Antonio Della Marina: programmazione computer (12)
special guest:
Giuseppe Battiston (2, 12) e Maurizio Tatalo (5)
Testi e musiche: Piero Sidoti
Produzione artistica: Antonio Marangolo e Piero Sidoti
Arrangiamenti: Antonio Marangolo
Arrangiamenti dei brani “La rapina” Antonio Marangolo Francesco Bertolini e “Lo scemo del villaggio” Antonio Marangolo / Antonio Della Marina
Produzione: Paola Farinetti per Produzioni Fuorivia
Registrato e mixato da Vittorio Vella per Delta Studios, Remanzacco UD (settembre 2008)
I brani "La venere nera", "L'acqua risale", "La conta di Caino" e "La rapina" registrati e mixati da Luca Gnudi per Pressing Line, Bologna (febbraio 2006)
Mastering Fonoprint Bologna,m realizzato da Roberto Barillari (gennaio 2009)
Progetto grafico: www.totemonline.com
Illustrazioni: Gianluca Buttolo – www.gianlucabuttolo.it