Il 14 aprile è uscito “Houdini” (Ribéss Records, distr. Audioglobe), terzo lavoro discografico di Giuseppe Righini, multiforme artista romagnolo (nasce a Rimini nel 1973) che, sul suo sito personale, si autodefinisce cantante curioso, autore onnivoro, attore occasionale, scrittore funambolo e piccolo giornalista carbonaro.
Sono passati ormai quattro anni dal suo secondo disco “In Apnea” (2001) e dopo i primi ascolti mi sembra di poter dire che il mondo musicale di Righini sia davvero cambiato tutto. Ora prevale anzi direi domina l’elettronica dentro una veste pop ma poi lo riascolti bene e allora sembrano riemergere echi decisamente più cantautorali del suo disco d’esordio “Spettri Sospetti” (2008). Allora “Houdini”, d’altronde il titolo lo suggerisce, forse è anche un sottile gioco d’illusioni, un rimescolare le carte, un confondere acque dense e torbide come le sonorità del disco.
Credo che questo nuovo disco "Houdini", rappresenti musicalmente una svolta decisamente elettronica, una notevole virata rispetto al disco d’esordio "Spettri sospetti", anche se poi il gusto per il noir resta sempre presente. Come sei arrivato a questo progetto?
“Houdini” arriva a un paio d'anni da “Enciclopedia completa di uno sconosciuto”, un doppio album di remixes in edizione limitata in cui colleghi e amici avevano manipolato per intero tutta la tracklist di “Spettri Sospetti” e “In Apnea”, i miei primi due albums. Questo mio desiderio e interesse nei confronti dell'elettronica ha radici antiche, spuntate nei miei primi ascolti e mai del tutto recise. Insieme al produttore di “Houdini”, Fulvio Mennella, abbiamo deciso di impostare il lavoro in quella direzione, semplicemente assecondando un desiderio di entrambi e personalmente figlio di alcuni esempi del passato come Suicide, Soft Cell e via discorrendo: squadra di lavoro minimal, attenzione focalizzata su produzione e canzoni. Questa vena, così come l'amore per il noir, mi appartiene da sempre. Già in “Spettri Sospetti”, sebbene più defilata, c'era una componente elettronica, così come in “In Apnea”. In "Houdini" questa esigenza ha chiesto più spazio, che io ho concesso volentieri.
Mi sembra però di cogliere, in questo passaggio, una grandissima attenzione nella cura dei suoni e dei testi solo apparentemente minimalisti, quasi a voler creare soprattutto suggestioni, ricordi, visioni, è così?
In assoluta linea con le suggestioni del titolo stesso dell'album, mi verrebbe da dirti di sì. Certamente, se si escludono forse alcuni pezzi - l'apertura di “Monge Motel” ad esempio, oppure, in parte, la stessa “Amsterdam” - un certo tipo di storytelling nei testi è stato abbandonato e, in questo disco, la scrittura è certamente più visionaria e suggerita che prettamente narrativa. Nulla esclude il ritorno di storie, personaggi più “definiti” nei prossimi dischi, ma per “Houdini” ha vinto questo tipo di canone più, diciamo così, informale, se vogliamo rubare una definizione pittorica. I suoni e la produzione sono curatissimi e chi ascolta musica elettronica, sa bene quale può essere la potenza e il calore di tali canoni. Semplicemente, principalmente, in “Houdini” ci sono più synths, campioni e sequenze che negli altri dischi e le chitarre, i violoncelli, alcuni bassi e alcune batterie non sono scomparsi del tutto.
Dalle note del libretto del disco, che libretto tanto non è, perché ha il formato di un foglio quadrato, piegato in quattro, leggo che il disco è stato scritto e pensato interamente da te nel corso del 2014, in un’alternanza tra Berlino e Rimini. Nel disco direi che si colgano tra le righe echi e riferimenti a due grandi registi cinematografici legati a queste due città, mi riferisco a Wim Wenders e Federico Fellini. Quanto sono stati importanti per te e quanto sono stati fonte d’ispirazione in questo tuo lavoro?
L'artwork dell'album, così come accaduto anche per “Enciclopedia completa di uno sconosciuto” e “In Apnea”, è stato affidato alla visual artist Alexa Invrea, che negli ultimi anni collabora spesso con me anche dal vivo con proiezioni e in rete con video. La grafica e il design sono di Johanna Invrea. Con loro e con l'etichetta, Ribéss Records, abbiamo deciso che il formato manifestino del booklet avrebbe meglio esaltato alcune idee iconografiche che avevamo. Berlino è, letteralmente, la mia seconda casa dove vivo parte dell'anno e, negli ultimi tempi, sta acquistando sempre più valore simbolico e pratico per me. Il suo valore si alimenta a vicenda, dal punto di vista emotivo, formativo e suggestivo in simbiosi con la mia città natale, Rimini. Utilizzando un’immagine che sa di salsedine, il disco è stato dunque scritto vicino al Mare del Nord e inciso sull'Adriatico. Sono un grandissimo fruitore di cinema, di conseguenza non immune al fascino di Fellini e Wenders. Non soltanto loro però mi seducono, e se la loro influenza si è infilata tra le righe di “Houdini”, penso sia stato più un effetto inconscio e collaterale che intenzionale da parte mia. Inutile dire che sono assolutamente i benvenuti.
Il disco è stato anticipato dal video del primo singolo "Magdalène", in cui tu stesso sei attore in un cortometraggio in cui un uomo sembra voler sfuggire dai propri ricordi, ma è difficile abbandonare ciò che è stato, è dentro una galleria ferroviaria che sembra non aver mai fine, fino alla scena finale in cui si vede finalmente l'uscita, la luce, vivida che inonda lo schermo. Questo senso in parte di claustrofobia, di prigionia dalle stesse proprie esperienze di vita mi sembra di coglierlo non solo qui o è una mia suggestione tra le tante suggestioni suscitate da queste nuove canzoni?
Sicuramente il tema dell'isola, del pianeta, cosmo e luogo a sé, al “riparo” dal mondo e dal “fuori” è un concetto che mi affascina da tempo. Mi è capitato in altre interviste di parlarne, e segnalare ad esempio un pezzo come “Bianca” nel primo disco o un inedito rimasto escluso dalla tracklist finale di “Houdini”, intitolato “Hikikomori”. Quel che mi viene da sottolineare per “Magdalène” è forse uno stato di amnesia più che di claustrofobia. Ricordiamo l'esistenza di qualcuno - o qualcosa - la sua bontà, la sua bellezza, la sua importanza ma abbiamo come perduto momentaneamente le coordinate di quel ... posto. Dunque vaghiamo, in una terra di nessuno tra quel che era e quel che sarà, così come accade al mio personaggio nel cortometraggio. Il video è stato girato in una vecchia galleria ferroviaria molto suggestiva a San Marino, vicino a Rimini, che durante i bombardamenti fu utilizzata come ricovero per sfollati. Con Daniele Quadrelli, regista di questo e altri miei video nonché caro amico, ci siamo misurati e divertiti in un piano sequenza in bianco e nero che ci soddisfa molto, e che sta riscuotendo diversi consensi. E' una cosa importante per me, perché considero l'aspetto visivo del mio lavoro in maniera molto rispettosa.
Hai citato una canzone che alla fine non è entrata a far parte di questo lavoro, mi piacerebbe magari saperne il motivo, ma c'è invece una canzone cui sei particolarmente affezionato, cui non avresti rinunciato per nulla al mondo a inserirla nella tracklist?
Sono molto soddisfatto della tracklist finale di “Houdini”. A volte un pezzo resta fuori non necessariamente per il valore in sé, maggiore o inferiore dei pezzi promossi ma semplicemente perché nell'economia generale dell'intero album serve un pezzo d'altra natura. E' accaduto in ognuno dei miei dischi, credo accadrà ancora. Spesso negli inediti si nascondono delle chicche preziose, che prima o poi vedranno luce, quando le circostanze saranno favorevoli. E' certamente quello che mi auguro per “Hikikomori” e molti altri. In genere la rosa di canzoni da cui si seleziona con il produttore la scaletta finale è molto ampia per ogni disco. Se proprio devo dirti un titolo, sono molto contento che in “Houdini” ci sia un pezzo come “Lungo la strada”, che rappresenta molto per me sotto infiniti punti di vista e chiavi di lettura, personali e musicali. Per “In Apnea” poteva essere “La luce del sole alle sei di pomeriggio”, o “Si qui ora”. Per “Spettri Sospetti”, invece, “Ninna nanna del mare in tempesta” e così via. Ma ognuna delle tracce contenute in “Houdini” ha un valore importante e significativo, di rilievo nella mia vita presente, il mio passato recente e la strada che ho di fronte. Dovunque mi condurrà.
"Lungo la strada" insieme con "Amsterdam" e "Non siete soli" sono il terzetto che starei ad ascoltarmi e riascoltarmi, quasi ipnotizzato. A me piace molto soffermarmi sui testi e a proposito di “Lungo la strada”, la canzone si chiude con i seguenti versi “Troverai la verità / sembrerà banale / solo l’amore / ci può salvare”, versi semplici ma carichi di significato, quanto credi nell’amore come via di salvezza?
Sono certamente tre canzoni importanti, ma per il mio percorso personale davvero tutto il disco lo è. Ogni fiore che non appassisce conta. Per quel che riguarda gli ultimi versi di “Lungo la strada”, non è assolutamente casuale che io utilizzi quelle parole e faccia pure riferimento all’apparente banalità di quel che dico. Quando accade, l’amore vince. Semplicemente. Infallibilmente. Non sempre ci fidiamo, proteggiamo, assecondiamo, ascoltiamo e nutriamo la bellezza di questa … banalità.
C’è un’altra canzone in particolare che mi ha incuriosito, si tratta di “Nonsense dance”. Mi ha colpito per le sonorità espresse ma soprattutto per il titolo, io credo che tutto abbia sempre un senso anche il nonsense, com’è nata questa canzone? E’ davvero solo un divertissement?
Non solo. Quest’album è probabilmente il disco più pop, a livello di scrittura, che io abbia composto e licenziato fino a oggi. Scuro e meno leggero di quel che potrebbe apparire a un primo sguardo, certamente, ma indubbiamente pop, almeno in alcuni episodi. “Nonsense Dance” è una delle tracce più commestibili e ludiche dell’intero lavoro, è vero, ma al contempo una delle più riflessive. Io poi se c’è da trasfigurare un paesaggio non esattamente luminoso e dipingergli sopra un’altra sfumatura per confondere le acque e giocare con gli specchi non mi tiro indietro. Mi piace mescolare i sapori e decontestualizzare gli elementi di sets e scenari, pur senza perdere il timone dell’idea di fondo. “Nonsense dance” è in realtà un brano sull’incomunicabilità, che utilizza la danza e il cinema come paraventi metaforici, estetici e formali e, musicalmente parlando, utilizza un’elettronica di matrice vagamente transalpina ma, ripeto, non è una traccia così leggera come parrebbe.
Prima parlavi della strada che hai di fronte, come hai intenzione di promuovere questo tuo nuovo lavoro? Hai già imbastito date e luoghi in cui presentarlo?
La presentazione del disco, che è uscito il 14 aprile, sarà sabato 18 aprile a Santarcangelo di Romagna in un luogo davvero magico che si chiama Loretta. Per ogni info su come raggiungerlo e prenotarsi per l'evento suggerisco di seguire in questi giorni la mia pagina ufficiale Facebook e quella di Ribèss Records attraverso cui saranno forniti dettagli e contatti. Non si tratta di una serata a inviti ma data la capienza limitata di questo luogo davvero speciale la prenotazione potrebbe non essere una cattiva idea. Poi, alla fine del mese, volo a Berlino con Quadrelli per girare un nuovo video lassù e da maggio in avanti cercheremo di suonare il più possibile e promuovere l'album al meglio. Anche in questo caso, il sito ufficiale e le pagine dei socials saranno utili per avere ogni news.
Per concludere, a chi non solo non conosce questo nuovo progetto, ma non conosce neppure Giuseppe Righini, che cosa diresti?
A chi non mi conosce, semplicemente, direi di cercare le mie canzoni e venire ai miei concerti. In genere funziona così, non trovi Fabio?
Assolutamente, per un musicista credo sia la sua musica a parlare per lui e che la dimensione live sia quella che maggiormente riveli lo spessore di un artista, quindi il consiglio per chi ci legge è di cercare la tua musica e venire ai tuoi concerti.
Assolutamente. Io sarò senza dubbio là.