Esce in questi giorni in Italia il film documentario sugli Oasis “Supersonic”, un'operazione che sembra stare a metà tra il compendio e la celebrazione, tra il ricordo nostalgico e il giusto riconoscimento a distanza di tempo. Chissà poi se in fondo in fondo tutto questa messa in scena non sia stata messa in campo anche per misurare e tastare il polso di un pubblico che mai come in questa testimonianza pare sia stato il protagonista assoluto di una storia maledettamente rock.
La pellicola apre immancabilmente (come in tutti i film che aspirano a raccontare un storia epica) con la scena madre del concerto di Knebworth Park del 10 agosto 1996 per poi riavvolgere la bobina in un lungo flashback che accompagnerà lo spettatore sino al punto di partenza toccato nella scena finale. Duecentocinquantamila biglietti venduti in due giorni. Appena un decimo della richiesta pervenuta agli organizzatori fu soddisfatta. Il concerto degli Oasis al Knebworth Park è stato l'evento più grande della storia del rock britannico, simbolo di una nuova generazione, figlia però di quella vecchia e forse l'ultimo evento musicale tale di questo nome nell'era pre-internet. Con il nuovo millennio cambierà per sempre il concetto di aggregazione e di happening giovanile. In un certo senso lo spartiacque di due generazioni ormai distanti culturalmente e socialmente parlando. Non a caso dirà Noel Gallagher in un'intervista di pochi mesi fa come oggi sarebbe impossibile veder nascere un nuovo caso Oasis nel sistema musicale e sociale attuale. Sì perché, benchè se ne dica e ne sia stato detto in passato, la band di Manchester è stata di fatto la sintesi perfetta di tutto quello che si vorrebbe scrivere quando si immaginano delle rock star da manuale. Geniali quando nessuno se lo aspettava, inaffidabili e poco professionali quando tutti si aspettavano qualcosa di grande. Di fatto hanno sempre fatto a pugni con lo spirito politically ccorrect di matrice borghese, ci hanno sempre regalato quella provocazione formale fatta di spavalderia e irriverenza funzionale a incarnare quello spirito proletario poco avvezzo alle buone maniere di circostanza. Insomma per fare questo docufilm non era necessario sforzarsi a inventare delle storie, perché la loro vita era già di per sé un film.
Ho sempre sorriso quando sentivo rivolgere ai fratelli mancuniani l'accusa di essere sbruffoni e sempre pronti alle iperboli autoreferenziali, volutamente antipatici e megalomani. Mi è sempre apparsa chiara la loro intenzione provocatoria, per non dire sarcastica nel volere neutralizzare la retorica benpensante imperante. Alla faccia del pensiero indipendente e alternativo. Ma torniamo al film. La sensazione più profonda che rimane nella pelle quando si arriva ai titoli di coda è quella di aver assistito contemporaneamente a una storia divertente, straordinaria, ma allo stesso tempo semplice e dolorosa. Neanche uno scrittore del secolo scorso sarebbe riuscito meglio nell'intento di creare una storia di ordinaria pazzia, tra isterismo delirante, gioa, crisi, botte, droghe e disagio sociale. Qualcuno diceva che l'arte nasce sempre dalla sofferenza e il film sottolinea come tutta l'arte di Noel e Liam sia stata covata sotto il fuoco della violenza, della sconfitta, dell'umiliazione, del rancore e dell'emarginazione. In questo gli Oasis sono stati davvero maestri: parlare alla propria generazione usando sempre il significante al posto del significato. Parlare di sofferenza senza mai nominarla nei testi, usare no sense di Lennoniana memoria per simboleggiare dei ricordi personali, gioire del successo senza false ipocrisie, praticare la forza; ma usare la melodia. I vari filmati in presa diretta hanno il merito di restituirci la convivialità, la vera essenza e lo spirito di una band che forse ha avuto il demerito di essere troppo vera, di vivere fino in fondo quei momenti senza mediazioni e calcoli di alcun genere. Alla fine era però quel rapporto conflittuale tra i fratelli più famosi d'oltremanica a creare quel pathos e quella formula magica oltre a un'amicizia e un cameratismo tutta di stampo british. Tutta la loro istintività non sarebbe mai potuta uscire da un contesto sociale diverso da quello loro fatto di profondo nord e periferia post-industriale tra i sobborghi mal frequentati della Manchester uscita con le osse rotte dal decennio thatcheriano. Diciamo il sottobosco ideale da un punto di vista sociale per le inclinazioni poetiche e filantropiche di un Pasolini d'altri tempi che definiva più interessanti culturalmente i ragazzacci della periferia romana espressione di un mondo autentico, primitivo e non ancora corrotto dal consumismo ( vedi Ragazzi di vita). Insomma la rappresentazione perfetta della classe operaia va in paradiso, romanticismo allo stato puro. E la critica per molto tempo che fa? Guarda il dito.
Comunque per chi sostiene che il film furbescamente esalta il periodo migliore della band tralasciando la sua lunga e perentoria decadenza avuta fino allo scioglimento del 2009 possiamo offrire questa velata, ma sottile soluzione metaforica: l'autore forse vuole dirci (e tra le righe lo esplicita nel finale) che i veri Oasis muoiono con il gran concerto di Knebworth Park, il canto del cigno a cui seguirà il più che accettabile Be Here Now e tutta una serie di sconvolgimenti e abbandoni nella line-up (ma anche nell'entourage) che cambiarono per sempre l'anima e lo spirito della band, il vero punto di forza del gruppo. Quella che rimase in piedi fu per certi versi il feticcio frutto dell'ego divergente dei due Gallagher. Forse sarebbe più comodo dire che la storia insegna come difficilmente una band riesca a fare più di due/tre capolavori nella sua carriera. Nessuno rinfaccerà mai questa ovvietà ai Cure, gli U2 o ai Soundgarden… Anche per questo oggi con questo documentario più che allora comprendiamo come la storia la fanno i fatti e i sentimenti, le persone che erano a quel concerto e le passioni che hanno legato indelebilmente eletti e elettori, palco e sottopalco. Se poi vi scapperà una lacrimuccia pensando alla mamma Peggy troverete anche quella umanità che avete sempre negato a dei ragazzi semplici, ma speciali.