Abbiamo colto l'occasione di intervistare Giordano Sangiorgi, patron del MEI (il Meeting delle Etichette Indipendenti) e coinvolto in tante altre iniziative come l'associazione di categoria AudioCoop, l'associazione "Rete dei Festival", l'attività "Materiali Musicali" e la "Casa della Musica".
Ciao Giordano, grazie per il tempo che ci dedichi!
Il MEI ha superato i 20 anni di attività. Quante cose sono cambiate in questi anni! Per quanto riguarda i supporti siamo passati dalle audio cassette e i dischi in vinile, ai compact disc, poi alla musica liquida (con i formati mp3, flac, ecc.), al download digitale ed infine allo streaming. Quale sono le tue riflessioni in proposito?
Che la musica è la più straordinaria piattaforma di innovazione, creatività e rinnovamento. A significare come la musica, oltre ad elemento centrale della cultura di un paese, sia elemento propulsivo dei piu’ rapidi cambiamenti. In poco tempo ci siamo trovati dal Fax alla Nuvola, senza più la proprietà della musica. Si pensi che a Londra hanno fatto una Fiera dell’Mp3 usato e dei Profili My Space morti. Un cambiamento epocale da vivere come una grande opportunità per i nuovi talenti pur in un momento di drastica riduzione di risorse.
Tali cambiamenti infatti purtroppo hanno portato a trattenere sempre piu’ quote ai distributori e ai diffusori della musica e sempre meno a chi la crea: è un circuito che si deve invertire del tutto pena la scomparsa della filiera creativa musicale per mancanza di risorse economiche.
I gusti dei giovani di oggi sono cambiati. Non è più di moda avere uno stereo a casa, ed i ragazzi ascoltano brani misti mp3 dal cellulare...
I nativi digitali ascoltano in modo frammentato e legato ai singoli. Infatti una recente ricerca ci dice che lo streaming ha superato il downloading e che di fronte ad un album i due terzi degli ascoltatori non superano i due – tre brani per album per passare poi ad altro. È lo stesso fenomeno di rinnovamento che accade con i 45 giri dei complessi beat negli anni Sessanta suonati con il mangiadischi. Oggi questa è la rivoluzione dei rapper attraverso lo smartphone.
Qual’è lo stato di salute della musica italiana dal tuo punto di vista?
Dal punto di vista creativo è straordinario: c’è una nuova leva di artisti indie, cantautorati, rap e folk e di altri stili di grande levatura in Italia, con Roma come una delle capitali più attive e innovative nella nuova scena con proposte di grande interesse. Purtroppo a ciò si accompagna un calo del fatturato con molte difficoltà per gli artisti indipendenti ed emergenti. Su tale questione è indispensabile comprendere che va aumentata la valorizzazione nella ripartizione dei diritti di tali artisti analizzando tutti i borderl’ live anche sotto le 200 persone fatti in gran parte da questi artisti e creare fondi di investimento che vanno recuperati dall’equo compenso che verrà introitato da quest’anno dalle società di diritti. Inoltre i produttori indipendenti con gli artisti dovranno lavorare a un consorzio unico del made in italy per raccogliere i diritti connessi. È sui diritti che si gioca la partita economica del futuro e ora in gran parte sono appannaggio solo dei grandi nomi e insieme bisogna giocare una partita per una più equa retribuzione dalle piattaforme on line, una protesta che vede in prima linea artisti importanti di rilievo internazionale come Iggy Pop, Billy Bragg e tantissimi altri. Un’altra soluzione sarebbe il sospirato inserimento delle quote come in Francia della musica italiana in tv e radio per il 40% nel palinsesto ogni giorno e di questo un 20% per gli esordienti: significherebbe trattenere 45 milioni di euro per i diritti ogni anno in Italia e dare lavoro a circa 15 mila artisti come minimo.
Al giorni d’oggi l’indipendenza è più facile, con tutti gli strumenti che si hanno a disposizione?
L’indipendenza è obbligatoria. Oggi un‘artista deve diventare imprenditore di se’ stesso e oltre a creare artisticamente deve lavorare per avere attorno a se’ una crew che si occupi a 360 gradi della sua produzione: dai social al live, dal merchansinsing ai diritti, dall’on line ai supporti fisici e così via senza tralasciare nulla fino ai media, oggi fondamentali, ma sempre piu’ frammentati, fino al crowdfunding e a un rapporto costante con i fan, quotidiano. Solo così si puo’ lavorare e puntare a un reddito dal lavoro di musicista.
Quale sono state le soddisfazioni più grosse dall’ideazione di questa manifestazione?
Son tantissime. Devo dire che l’ultima in ordine di tempo è quella di ieri: quando il nuovo Presidente della Siae Filippo Sugar nella sua prima dichiarazione cita il MEI come suo interlocutore per un tavolo comune di lavoro per gli indipendenti, gli emergenti, i giovani e i piccoli autori ed editori. Un riconosicmento così ripaga, insieme a tantissime altre soddisfazioni, di 20 anni di lavoro che così trova sbocchi e si concretizza.
Nel corso di questi anni il MEI ha commesso qualche errore? Hai qualcosa da recriminare?
Abbiamo fatto tanto e abbiamo fatto tanti errori. Tra i tanti quelli di un rapporto con la politica territoriale troppo accondiscendente: abbiamo dato tanto ricevendo poco, con manifestazioni ed eventi che prendevano contributi pubbilici straordinariamente più alti di noi con un decimo del pubblico per di più tutto locale, avremmo dovuto puntare i piedi di più, ma io sono portato a mediare sempre, ma quelli che mi dispiacciono di più sono quelli di avere dato fiducia a persone che poi si sono presi una parte di iniziative del MEI per farle proprie da soli dopo avere sfruttato la nostra piattaforma, una delusione prima di tutto umana per la fiducia che hai dato non ricambiata.
Quali sono i principali problemi nell’organizzare concerti in Italia?
Semplice: la cultura del live in Italia non esiste. Ma forse questa nuova generazione che ne conosce l’importanza cambierà questa impostazione. L’ottimo lavoro del Sindaco Nardella di Firenze che ha lanciato la SCIA per favorire i live nella sua città, grazie al lavoro di Manuel Agnelli, Stefano Boeri, Tommaso Sacchi e anche del nostro appoggio, insieme a tanti altri, invitando le altre città a fare altrettanto va proprio in questa direzione del cambiamento. Speriamo bene, ma vedo buone prospettive.
Il passaggio al digitale e alle varie piattaforme su Internet, se da una parte ha facilitato la diffusione della musica, dall’altra forse ha reso più difficile l’esistenza per le persone che di musica vorrebbero vivere. Cosa ne pensi?
E’ così: ma non perché non ci siano i soldi. Ma perché un tempo i costruttori degli impianti audio non avrebbero mai pensato di tenersi i soldi degli artisti che facevano i dischi. Oggi invece se vai su YouTube per ogni click, che è come un tempo la vendita del 45 giri, prendi 3 centesimi di euro e il resto se lo tiene tutto YouTube che fa megafatturati: va invertita questa proporzione. Le piattaforme tecniche che distribuiscono la musica per farla ascoltare (come Spotify, iTunes e tanti altri ) devono pagare di più gli artisti e tutta la filiera creativa musicale. Così con questi salari da fame non può durare.
Ho notato che anche voi utilizzate piattaforme di crowdfunding per finanziare delle uscite?
Solo in alcuni casi speciali. Ma va detto che oggi il crowdfunding è la nuova etichetta indipendente di questa epoca. Da Musicraiser, la più importante, alle altre come Becrowdy, Eppela, Produzioni dal Basso e tante altre sono stati prodotti oltre 250 progetti musicali in un paio d’anni che mai avrebbero visto la luce con il processo tradizionale della stampa del cd e dell’immissione conseguente sul mercato, non esistendo più la filera della distribuzione dei negozi di dischi.
La SIAE ormai da tanti anni è vista in modo molto negativo. Basta leggere i commenti a qualunque articolo che parli della SIAE...
La Siae vive gli stessi problemi di molte realtà para pubbliche. Serve innovazione, razionalizzazione, efficienza, trasparenza e digitalizzazione al più presto per essere concorrenti con l’ingresso della concorrenza in Italia dopo la Direttiva Europea.
I recenti problemi di Gino Paoli, le relative intercettazioni telefoniche, hanno continuato a buttare ombre buie su questo ente pubblico.
In questo caso pero’ va detto che la Siae non c’entra nulla, ma è una caso che coinvolge solo Gino Paoli.
Ci vorrebbe una brusca inversione di tendenza, ma personalmente quando sento parlare la SIAE mi sembra di ascoltare un discorso puramente politico, in cui di concreto c’è ben poco.
Credo che ora si sia verso un’inversione di tendenza: semplicemente perché o si cambia o si rischia di morire schiacciati dalla concorrenza che rischia di arrivare. Tutto qua, il mercato per fortuna obbliga ai cambiamenti e l’elezione di Filippo Sugar, giovane e al passo coi tempi, profondo conoscitore del mercato nazionale e internazionale, profondo cultore del made in Italy, fa ben sperare soprattutto subito dopo la sua grande apertura verso il MEI, gli indipendenti e gli emergenti, che sono il futuro della musica del nostro paese, che sarà sempre più frammentato in tante piccole produzioni, tanti piccoli autori ed editori che vanno aiutati in questa difficle fase di transizione.
Cosa ne pensi della nomina di Filippo Sugar (figlio di Caterina Caselli e presidente della Sugar Music Spa)?
Penso bene dopo questa sua prima dichiarazione all’Ansa che è tutta molto interessante, con lui apriremo un tavolo di lavoro comune e se saran rose fioriranno come mi auguro visto il reciproco impegno.
Torniamo a discorsi più “leggeri”. Quali sono i tuoi artisti italiani preferiti?
Avendo 55 anni è chiaro che parto dalla prima scena indie strutturata. Devo dire che i Cccp sono gli artisti italiani che ho amato di più. Ho consumato fino alla fine ogni loro disco facendo soffrire chi allora mi frequentava. Avevo anche una band all’epoca che si chiamava Nuovi Turchi, che li copiava spudoratamente, e che aveva avuto un certo successo in Romagna. Tra l’altro Carlo Lucarelli ci diede qualche suo testo e facenno un 45 giri in vinile rosso che torneremo a fare uscire il 18 aprile nel prossimo Record Store Day. Poi mi hanno segnato gli Skiantos di Freak Antoni e gli Afterhours e il Teatro degli Orrori. Poi se dovessi fare una Top Ten non potrebbero mancare i Baustelle, i Subsonica, Nada, Zibba, Verdena e i Nobraino. Ma potrei ancora fare un elenco lunghissimo. Tra questi ci andrebbero di sicuro i La Crus e i Massimo Volume, per dire. Ma quelli che mi piacciono di più sono gli sconosciuti straordinari che ascolto e che mi fanno impazzire alla prima: fu colpo di fulmine con Erica Mou, Lo Stato Sociale, Management del Dolore Post – Operatorio, Kutso, Blastema, solo per citarne alcuni che poi hanno fatto una bella e significativa strada e che daranno ancora tanto alla nuova musica del nostro paese.
Le riviste musicali da edicola secondo te che futuro avranno? Su web è difficile avere degli introiti comparabili, ma è anche vero che sempre meno persone acquistano riviste in edicola….
Oggi tutte le riviste rock in edicola dovrebbero abbandonare quel vecchio vizio provincialista di farsi la guerra come hanno fatto in 30 e passa anni e mettersi insieme per fare una grande rivista rock di opinione su carta e su una piattaforma on line di news unica che con una vendita di oltre 10 mila copie e passa potrebbe ancora avere un ruolo significativo nella scelta dei progetti musicali e e nell’orientamento del gusto. Oggi di fronte alla chiusura tra poco di oltre 30 mila edicole, visto che non ci sono più under 3 che la frequentano, e calano drasticamente gli acquirenti di giornali, rischiano di avere scarsissimo peso e di essere purtroppo destinate alla scomparsa.
Cosa hai in serbo per il futuro? Qualche nuovo progetto in vista?
Dopo la chiusura di un lungo ciclo di successi con i 20 anni del Mei (500 mila presenze, ben oltre 10 mila tra artisti e band che si sono esibiti, circa 10 mila tra stand ed espositori, migliaia di interventi in convegni e incontri pubblici, centinaia di operatori di rilievo italiani e internazionali, lo sdoganamento della parola indipendente che prima era sinonimo di sfigato nei primi anni ’90 mentre dopo è diventata musica di serie A al pari delle altre) si deve lavorare a un nuovo progetto. Le giovani generazioni digitali che incontri ogni settimana in ogni parte d‘Italia con workshop, concorsi, master, corsi di formazione, live e tanti altri eventi hanno bisogno ancora di più oggi di una piattaforma fisica professionale di incontro una volta l’anno per capire il polso della situazione e fare scambi di esperienzee. C’è bisogno quindi di un #nuovomeiduemilaequindici. Ma lo faranno, insieme a noi, quelli piu’ giovani di me.