Max Manfredi
Luna persa
Luna persa: in sintesi un capolavoro.
Nulla è lasciato al caso in Max Manfredi, per questo se il nuovo attesissimo disco “Luna persa” , che arriva a quattro anni di distanza da “Live in blu” , che dura più di un’ora e che contiene undici pezzi tutti inediti, si apre con un frammento di soli 19” del canto tradizionale “Au claire de la lune” , forse è proprio lì che è possibile trovare la chiave di lettura di questo nuovo lavoro.
Penso che questa scelta “bizzarra” debba essere letta come l’intento di collegare l’intero contenuto di questo prolifico disco alla tradizione, ad un passato che non si cancella, non si rinnega, ma che in Max è rielaborato, introitato per essere digerito e trasformato in un qualcosa di totalmente nuovo, sfolgorante, in cui però, se si presta la dovuta attenzione, sono ancora riscontrabili i legami con la tradizione, dai flamenchi alle danze ungheresi, dalle marcette alle ballate gitane, dalle nenie arabe ai rebetici greci, dalle sinfonie classiche agli influssi jazz. E’ come se dal passato si generasse non tanto il presente, ma un possibile scenario futuro della canzone d’autore.
Ma lasciamo spazio alle canzoni, che come dicevo sono undici, a partire da “L’ora del dilettante” uno dei brani più tosti, con una magnifica orchestrazione degli archi curata da Federico Bagnasco, una sorta di rivendicazione per i tanti ingegni, creatori d’arte presenti in Italia e non solo (basta viaggiare un po’ in internet) senza alcuna possibilità di essere presi in considerazione da un mondo di media ormai precostituito.
“E la giuria era del tutto fatta (da gente tutta d’un pezzo),
da gente che non distingueva il valore dal prezzo.”
Segue “Il regno delle fate”, canzone caratterizzata da una melodia abbastanza semplice, ma di grande impatto, grazie nuovamente all’accurata orchestrazione degli archi qui condivisa tra Max e Federico. Il tutto è giocato su due piani, uno reale, in cui elementi quotidiani, quelli che generalmente abbiamo sott’occhio, ma non notiamo neppure, grazie ad un inusuale accostamento sono messi in luce ed uno visionario, in cui è immaginata una vera e propria ribellione a questo mondo senza senso, fino ai versi finali “Ed entreremo in qualche cinema da pruxe dove ruscano gli amori / ed usciremo da quel cinema e sapremo che eravamo noi gli attori” in cui sembra di tornare al capolinea, alla realtà o è ancora finzione?
Se gli dicessi che li odio non lo so se mi saprebbero capire
ma se gli urlassi in faccia che li amo chi lo sa se mi starebbero a sentire.
I soli contrabbassi, suonati con l’ausilio degli archetti, in un brano contrappuntistico, la voce splendida e teatrale di Max ricostruiscono il seguito, nella breve “Terralba tango” , di una sbornia memorabile.
“Con uno straccio di cappello da tanghèro mentre inciampo giù dai merli,
l’eterno sigaro che brucia in quanto eterno, come gli angeli e gl’inferni”
Dolcissima canzone d’amore, “Retsina”, prende il nome dal famoso vino greco, piacevole se bevuto fresco, che mantiene, però sempre quel retrogusto amaro dovuto alla resina di pino che gli è aggiunta, un po’ come l’amore qui narrato, che ha un suo amaro finale, all’amore di una notte subentrerà, infatti, il distacco al sorgere del nuovo giorno.
“Adesso puoi fermarti qui senza stare a capire
puoi fermarti qui a mangiare a bere e a dormire
puoi fermarti qui a parlare, a cantare, a ridere e a venire.
Stanotte puoi fermarti qui e domani ripartire.”
Nacchere, taconei, palmas ed il calore delle voci del Gruppo Flamenco Almudena aprono la magnifica “Libeccio” poi, come improvvise folate di vento, prendono corpo i versi pieni di sonorità e di energia di Max, al quale subentra nel finale la limpidissima voce dell’italo-spagnola Eugenia Amisano. Tutto è perfettamente dosato dagli archi orchestrati da Fabrizio Ugas a tutti gli altri contributi strumentali.
“Canta per me, rabbia di canile, sabbia di fucile, gola di bauxite,
prendi a bordo questo mio ricordo diventato sordo a suon di dinamite.
Canta un fato che non mi ha beccato, ninnolo di spari lungo il litorale,
fionda e fughe, il salto delle streghe, il volo delle acciughe sulle vie del sale.”
Uno strumento molto amato da Max, il glockenspiel, con la collaborazione del pianoforte dal bel tocco di Spiccio, senza dimenticare la sua voce qui particolarmente calda, rendono al meglio la delicatezza e la dolcezza di “Quasi”, canzone su un amore probabilmente ancora immaturo se si arriva al verso finale “Tu mi sfioravi piano col dito, io ero pazzo di me / ma tutto questo sembra svanito come le nuvole all’ora del tè.”
“Ci si aspettava per la partenza salve di fucileria.
Troppo sottile la differenza tra chi ritorna e chi invece va via..”
Sono il violino di Maurizio Dehò e lo zimbalom di Marian Serban ad introdurci in “Zibalom” brano che sa di solitudine, di nostalgia dovuta all’essere lontano dalla propria terra, lo si intuisce dalle immagini, dalle sensazioni avvertite dal protagonista, il tutto sembra emergere come da un film, ci sono echi arabi, nostalgie gitane, impennate balcaniche, un pezzo davvero vulcanico.
“È pane e tempi dispari che vengono dal mare
insieme ai clandestini, ai topi, alle paure.”
Dolcissime note di pianoforte sottolineate dal violoncello, ci introduco all’intimità di “Aprile”, malinconica riflessione sulle stagioni della vita, ognuna con le proprie peculiarità, ognuna da cogliere nel bene e nel male, perché non è comunque possibile riviverle una seconda volta. Bellissima la chiusura finale un po’ jazzata con il sax contralto di Paolo Maffi.
“D’inverno è troppo tardi per capire
che c’è un risentimento a ogni stagione
e tempo per star sveglie sul balcone.”
Di altro genere è la successiva “Il morale delle truppe” che si apre a suon di marcetta militare, il tutto sembra assumere un tono un po’ Brecktiano e, ad un primo superficiale ascolto, potrebbe apparire un semplice divertissement, con la sua allegra musicalità un po’ zigana, quasi a voler alleggerire il tono della raccolta di canzoni fino a quel momento ascoltate, in realtà mi pare centri in pieno uno dei problemi più seri della nostra società, il senso di vuoto, di insoddisfazione che assale chi ad un certo punto della propria esistenza è posto ai margini, senza aver più possibilità di continuare a fare ciò a cui era abituato.
“La morale della truppa è sempre quella che già sai:
dice che senza una guerra, prima o poi, t’annoierai. :
È sul fronte che la pace sembra una buona idea…:
quando poi si torna a casa, si rimpiange la trincea”
“Il treno per Kukuwok” è un po’ come l’isola che non c’è, un luogo in cui tutti vorrebbero vivere la propria esistenza. E’ nata dal suo occasionale osservare il nome Kukuwok su un vecchio monitor in tilt della stazione ferroviaria di Pavia poi la sua fantasia ha fatto il resto, trasformando il quotidiano pendolarismo sui treni in un immaginario viaggio verso Kukuwok, facendo convergere insoddisfazioni e stanchezze dei lavoratori verso questo luogo fantastico. Attualissima.
“Con l’aereo, col treno o con la diligenza
ogni posto va bene, purché non sia qui.”
Ancor più attuale è la lunghissima suite che dà il titolo al disco “Luna persa”, una struggente canzone d’amore, uno strano amore verso una figlia non voluta “Figlia di una notte clandestina coi blues di Nag Hammadi”. E’ un quadro a tinte forti e scure quello che è descritto o meglio, che si intuisce dalla frammentarietà della narrazione, dai rumori (un bicchiere rotto, un clacson che grida, musica andata a male, i gabbiani che stavano urlando, quell’organetto, i botti che festeggiano l’iniziazione), dalle poche luci e tanto buio (Le luci sono saltate tutte e fuori c’è ‘sta luna persa, quando c’è il black out, piene di luci sul lungo fiume, …che si spegnevano poco per volta, E la luna non la vedi, i cani l’han lasciata al buio, Adesso che tutto è spento), dagli odori (quest’odore di lavanderia, odor di sigari nella stanza, in mezzo agli odori dei ristoranti internazionali). Musicalmente, ha un aspetto ondivago davvero difficile da inquadrare, un po’ come se il tema del viaggio forzato in questa fuga tra popoli diversi, influenzasse anche la musica. Vi si trovano tracce di mondo balcanico, greco, medio-orientale, con rigurgiti anche sinfonici (per certi versi ricorda il rielaborare elementi eterogenei di Gustav Mahler). Se si pensa che è stata scritta nel lontano 1987, il tutto assume un carattere sorprendentemente profetico, con quella presenza anche di termini etnici, oggi magari usuali, ma allora pressoché sconosciuti.
“E luci parassite di satelliti privati,
e ogni volta che cade un uomo si rialzano i mercati.”
Stavo quasi per dimenticare, il disco contiene come ghost-track “La fiera della Maddalena”, canzone cantata in compagnia di Fabrizio De André, tratta dal suo secondo disco, dal titolo “Max”, del lontano 1994 ed ormai fuori catalogo da anni, una vera perla.
Che dire quindi per conludere, un disco che, partendo dal passato, getta i ponti per il futuro della canzone d’autore italiana. In sintesi, un vero capolavoro.
Max Manfredi
Luna persa
Genre: Cantautorale
Traks:
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1)
Au clair de la lune (00:19) (trad.)
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2)
L'ora del dilettante (04:58) (M.Manfredi - F.Bagnasco - M.Manfredi)
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3)
Il regno delle fate (04:34) (M.Manfredi)
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4)
Terralba tango (02:15) (M.Manfredi - F.Bagnasco - M.Manfredi)
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5)
Retsina (04:38) (M.Manfredi - F.Giudice - M.Manfredi)
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6)
Libeccio (04:19) (M.Manfredi - F.Ugas - M.Manfredi)
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7)
Quasi (04:55) (M.Manfredi - F.Giudice - M.Manfredi)
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8)
Zimbalom (05:05) (M.Manfredi - M.Spiccio - M.Manfredi)
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9)
Aprile (04:33) (M.Manfredi - M.Nahum - M.Manfredi)
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10)
Il morale delle truppe (03:51) (M.Manfredi)
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11)
Il treno per Kukuwok (05:30) (M.Manfredi)
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12)
Luna persa (12:10) (M.Manfredi)
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13)
La fiera della Maddalena (05:02) con Fabrizio De André(M.Manfredi)
Information taken from the record
Marco Spiccio: pianoforte (3, 7, 9, 11)
Matteo Nahum: glockenspiel (3, 7, 10), chitarre classiche (5, 6, 9, 12), bouzuki irlandese (8), melodica (8), dobro (11), slide guitar (11)
Fabrizio Ugas: chitarre classiche (5, 6, 8, 10), chitarra semiacustica (7, 9), voce (7, 10), chitarre acustiche (11), dobro (12)
Federico Bagnasco: contrabbassi (2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12), floor tom (2), tamburello (2), tam tam (2), campioni di gocce (2), diapason (2), rumori vari (2), cimbali (7), sonagliera (7), piatti (7, 10), voci (10, 12)
Roberto Piga: violini (2, 5, 9, 12)
Corrado “Dado” Sezzi: tam-tam (3), piatti (3, 8, 12), bidoni (3, 8), cajon (8), congas (8), darbuka (12), timbales (12), djembe (12), flloor tom (12), jamblocks (12), triangolo (12), cabasa (12)
Marino Lagomarsino: violini (2, 3, 6, 9, 12)
Marco Diatto: viole (2, 3, 6, 9, 12)
Alberto Pisani: violoncelli (2, 3, 6, 9, 12)
Gianmarco Gaviglio: cromorni (soprano, contralto, tenore)
Vladimiro Cainero: corni (2, 12)
Marian Serban: zimbalom (2, 8, 10)
Emanuele Le Pera: spring drum (3), tubi (3), ranocchie giocattolo (3), ududrum (5), ocean drum (6), piatti (6), zarb (8), acvigliere indiane (8), batteria di barattoli (10), def (12), danmoi (12)
Eugenia Amisano: voci (6)
Gruppo Flamenco Almudena (Bruna Learchi, Chiara Parisi, Romina Parisi): taconeo (6), palmas (6), nacchere (6), voci (6)
Carlo Aonzo: mandolino (5, 6)
Edmondo Romano: piffero (6), clarinetto (6, 8), flauti dolci (8), sax soprano (12), mizmar (12), zurne turche (12)
Silvia Manfredi: clarinetto (5)
Filippo Gambetta: organetti (5, 8, 12)
Marcello Bagnasco: fisarmonica (7)
Maurizio Dehò: violino (8, 10)
Fanfara (8): Edmondo Romano, sassofoni e clarinetti, Vladimiro Cainero, corni, Emanuele Le Pera, davul e piatti
Daviano Rotella: batteria (9, 11)
Paolo Maffi: sax contralto (9)
Matteo Rabolini: rullante (10), tamburone (10)
Fabio “Kid” Bommarito: armonica (11)
Elias Nardi: oud (12)
Banda Musicale S. O. C. Nostra Signora della Guardia Genova – Pontedecimo (12)
Registrato e missato negli studi Maccaja di Genova da maggio a luglio 2008, tranne i sei contrabbassi di “Terralba tango” e i campionamenti de “L’ora del dilettante” registrati da Alessandro Paolini al Goblin Music Studio di Genova
Missaggio: Marco Canepa
Tecnico del suono ed editing: Alessandro Caforio
Masterizzazione: Mastering-online, Berlino
“La fiera della Maddalena” è tratta dal cd “Max” (BMG Ariola/ Cantare in italiano), 1994, e cantata da Fabrizio De André e Max Manfredi. Registrata a Mulino Recording (Acquapendente) da Francesco Luzzi. Arrangiamento di Michele Ascolese, produzione artistica di Ezio Zaccagnini
Filippo Gambetta appare per gentile concessione di Felmay
Corrado “Dado” Sezzi usa percussioni Meinl e piatti e metalli Ufip, Matteo Nahum e Fabrizio Ugas suonano chitarre di Davide Castellaro, Max suona una chitarra di Antonino Airenti
Progetto grafico: Guido Castagnoli
Fotografie: Guido Castagnoli
Foto della Staffa di Pierpaolo Rinaldi, tratta dal recital ‘Batrax’ alla Galleria d’Arte Moderna di Genova Nervi.