Void of Silence
The Grave of Civilization
I Void of Silence da Roma sono con molta probabilità la realtà migliore del doom metal nostrano. Sin dai loro esordi (la band si forma nel 1999), il loro stile ovviamente attingeva a piene mani dalla classica scuola del genere ma esso si faceva anche notare per alcune peculiarità, come l’uso dei synth a creare un’atmosfera raggelante e una voce che aggiungeva elementi black metal al tutto. Questo mix di stili ha fatto si che molte volte la band venisse anche etichettata come Black/Doom. Malfeitor Fabban, leader anche dei mitici Aborym, era la mente e la voce dietro al progetto e due album vennero dati alle stampe prima della sua dipartita. Toward the Dusk e Criteria Ov 666 furono accolti molto bene dall’audience e dalla stampa, accrescendo la fama di una band che con il terzo album, Human Antithesis trova un nuovo singer, Alan Nemtheanga. Con questo nuova uscita, invece, I Void of Silence, scelgono Brooke Johnson, già leader degli The Axis of Perdition. Il suo stile più rituale e meno improntato al black metal ben si amalgama ad una proposta musicale sempre più eclettica da parte del gruppo.
Ora le influenze dark/ambient sono ben più presenti ed anche le composizioni di questo nuovo album, The Grave of Civilization, ce lo dimostrano. Atmosfere surreali, ritmi marziali e tanta oscurità sono elementi alla base della proposta dei Void of Silence. Prelude to the Death of Hope si distende su una base di tastiere per l’entrata di una batteria fredda, marziale e totalmente senza vita. Inizia il viaggio nel mondo disperato del gruppo. Linee soliste e arpeggi distorti ci introducono alla title track, The Grave of Civilisation. Il vento di sottofondo mi trasporta in uno scenario senza vita e la voce sofferta di Brooke risulta essere paradossalmente l’elemento meno oscuro della proposta dei Void of Silence. Forse è solo un’impressione dettata dal fatto che la musica stessa è di un lugubre agghiacciante ed essa è difficile da essere contrastata su questo piano. Le aperture ambient delle tastiere sono perfette per i breaks, con successivi supporti a base di arpeggi, questa volta senza distorsione. Le pause stesse tra le canzoni sembrano non esistere praticamente perché esse sono unite tra di loro con le aperture dei synth che in occasione di Apt Epitaph ci conducono a riffs decadenti, supportati da prolungate linee soliste ed improvise aperture melodiche che fanno trasparire uno spiraglio di luce, prima di ripiombare nell’assoluta oscurità.
Dopo una lunga canzone che per la prima metà si reggeva con il solo uso degli strumenti, la voce sofferente, evocativa di Brooke ritorna con Temple of Stagnation (D.F.M.I. MMX), accompagnata da qualche partitura ritmica più decisa a supportare un eccelso lavoro di pianola. Buona la melodia ricreata dallo strumento di Riccardo Conforti, la quale per certi aspetti si avvicina anche, come stile solamente, ai tipici passaggi del symphonic black metal. Tuttavia, qui stiamo parlando di ambient/doom e questi generi sono ben riscontrabili nella seconda parte della canzone in particolare, grazie a prolungate sezioni atmosferiche e linee soliste delle chitarre che si alternano ad arpeggi rallentati e profondi. Imbattibili a tal proposito le partiture che troviamo con l’esasperata None Shall Mourn, effigie del malessere che affligge l’uomo disilluso e portato all’autodistruzione. Sì, perché la proposta musicale dei Void of Silence riflette esattamente gli argomenti trattati nei testi: il decadimento umano, le sensazioni, i sentimenti contrastanti e tanta tristezza sono elementi base di un approccio musicale altrettanto estremo nella sua complessità e lentezza.
I testi narrati da Brooke sono composti da parole pronunciate lentamente, in modo sofferente, come se fossero le ultime ad essere pronunciate da un’anima che non trova più una forma di conforto in un mondo grigio, senza futuro. Echi dei Pink Floyd per quanto riguarda la sezione solista delle chitarre sono più evidenti che mai e ciò favorisce la creazione di un’atmosfera veramente surreale. La finale Empty Echo possiede un’aura tutta particolare, questa volta condita anche con il suono di un flauto e la melodia delle chitarre che si fa notare grazie a suoni puliti, arricchiti dalle solite, brillanti tastiere. La sua breve durata, tuttavia, non impedisce alla atmosfere doomeggianti che finora abbiamo ascoltato di penetrare il sound, rendendolo ancora più oscuro e denso di una malinconia senza fine.
Giunti alla fine di un ascolto di tale caratura, personalità e pregno di una così profonda malinconia non si può che rimanere a bocca aperta. The Grave of Civilization è un lavoro da ascoltare decine di volte per poterne realmente cogliere tutte le sfumature di cui è composto. Un consiglio: chiudevi in una camera dove i suoni e i rumori esterni non possono entrare, accendete una luce fioca e godetevi questo lungo viaggio nell’oscurità più totale da parte di un gruppo che merita veramente tutta l’attenzione che attira, se non di più. Bravi.
Void of Silence
The Grave of Civilization
Genre: Doom metal
Tracks:
- 1) Prelude to the Death of Hope
- 2) The Grave of Civilisation
- 3) Apt Epitaph
- 4) Temple of Stagnation (D.F.M.I. MMX)
- 5) None Shall Mourn
- 6) Empty Echo