Lu Colombo
Molto più di un buon motivo
Molto più di un buon motivo per ascoltare Joaquin Sabina di Lu Colombo
C’è indubbiamente molto più di un buon motivo per accostarsi a questo nuovo disco di Lu Colombo che s’intitola “Molto più di un buon motivo” ed è un tributo a Joaquin Sabina.
In primo luogo c’è il mondo poetico di Joaquin Sabina, cantautore spagnolo celeberrimo sia in patria sia in Sudamerica, definito da Lu "un esistenzialista, nonostante il suo successo commerciale, di dimensioni trans nazionali". L’incontro tra Lu e l’universo musicale di Sabina avvenne quasi per caso, galeotta fu la canzone “19 giorni e 600 notti“ (“19 Días y 500 Noche”) che Lu presentò al Premio Tenco nel 2008. La sua esibizione rapì letteralmente Giorgio Secondiano Sacchi che decise di buttarsi anima e corpo, in veste di produttore artistico, nel progetto di realizzare un disco che permettesse di colmare una grande lacuna nel panorama musicale italiano, la generale e totale ignoranza in merito all’esistenza di quello che è tuttora considerato come il massimo esponente della canzone d’autore spagnola.
Qui però, sorge il primo problema, perché Joaquin Sabina è autore molto difficile da tradurre, per quel suo carattere sanguigno, il continuo ricorre a riferimenti culturali, l’uso spesso celato di colte citazioni, insomma un lavoro certosino da esperti, chi meglio di Sergio Secondiano Sacchi poteva allora tentare un’impresa tanto ardua? E con così grande successo, giacché Sergio ha raccontato che lo stesso Joaquin Sabina ha poi telefonato per congratularsi sia per le interpretazioni sia per le traduzioni, a maggior ragione se si pensa che lo stesso Joaquin negli Anni Ottanta è stato traduttore di tanti successi italiani. Un esempio per tutti, relativo alle difficoltà tecniche incontrate in quest’opera di traduzione-ricostruzione, è il brano “Millenovecentoquarantasette”, una libera direi liberissima traduzione della canzone “De purisima y oro”, che in origine racconta di Madrid alla fine della guerra civile spagnola e, ovviamente, è piena zeppa di riferimenti storici, culturali, geografici e sociali di quel periodo. Come tradurre un qualcosa di così lontano da noi? Sergio si è lasciato allora guidare dalla musica e ha così genialmente pensato di trasporre tutto nella Napoli del nostro dopoguerra, quasi nascesse dalle pagine di un qualche racconto di Domenico Rea. Un vero gioiello, ascoltare per credere.
A rendere però incredibilmente piacevole questo disco è soprattutto lei, Lu Colombo che, ormai definitivamente abbandonato il mondo della musica pop dance degli anni ’80 (suoi successi come “Maracaibo”, “Dance all nite” e “Rimini Ouagadougou”), dona la sua voce, così scura e intrigante a questi gioielli, che sembrano abiti sartoriali cuciti su misura per le sue corde vocali, lei si muove e si agita tra le note con grande padronanza ma, soprattutto, riesce a trasmettere emozioni calienti che, son sicuro, piacerebbero anche agli spagnoli.
Un plauso meritano poi i musicisti scelti per questo progetto, tra i tanti nomi ricordo quelli a me già noti come Ellade Bandini, Fabrizio Consoli, Angapiemage Persico, Daniele Caldarini, Francesco Gaffuri, Stefano Covri, ma sono stati tutti molto bravi a calarsi nelle atmosfere a volte un po’ istrioniche di Sabina.
Infine, non ultimi, ci sono ben altri dodici motivi per ascoltare, con intenso piacere, questo tributo alla musica di Sabina, sono le dodici tracce che costituiscono 53’ minuti di musica coinvolgente, emozionante, a tratti folgorante, fatta di squarci di luce, di pennellate di colore dalle tinte forti.
Il disco si muove tra influenze ispaniche, messicane, sonorità mariachi, insomma è tutto da gustare.
La scaletta si apre con “Chiusura per fallimento”, una rumba veloce e ritmata che mette subito la voglia di alzarsi e mettersi a danzare, vi sono accostate immagini della quotidianità, con continui giochi di rime e assonanze, un meccanismo perfetto utilizzato per raccontare la fine di un rapporto amoroso, eccone un efficace passaggio “Questa macchia di sangue e rosso lacca / che la solitudine ci lasciò / in un’anima che torna sempre stracca / prigioniera di una giacca / che è rinchiusa in un paltò”.
Un nostalgico pianoforte ci introduce alla successiva “Una canzone per la Maddalena”, dedicata con grandissimo tatto e delicatezza a una prostituta. Commovente il suo riferimento continuo alle famose pagine del vangelo “Chiedo solo che tu mi scriva / per sapere se è ancora viva / la vergine dei peccati / la sposa del fior della saliva / il sesso con amor degli sposati. / Con il suo grande cuore a cinque stelle / anche il figlio di un Dio la vide e volle la sua pelle / e niente gli costò la Maddalena”. Sublime melodia, enfatizzata dal violino di Andrea Simeoli.
Sono invece trombe e chitarre arpeggianti in stile mariachi, a condurci per mano in “Le lune di miele”, brano apparentemente festoso ma, invece, intimamente triste, quasi un’accorata preghiera affinché ”Resti di moda il cuore che batte / Che ci si abbronzi col sole di aprile / Che ogni notte sia la prima notte / che ogni luna sia luna di miele”. Sentimenti e valori ormai in via d’estinzione nel mondo d’oggi.
“Come un mal di denti”, musicalmente più pop, nasce da una lettera scritta dal Subcomandante Marcos a Joaquin, solo che Sabina, grande poeta, è riuscito a trasformarla in versi pieni di lirica tensione, giocando com’è nel suo stile con le parole e l’accostamento d’immagini apparentemente con alcun nesso fra loro, tipo “vieni a abitare l’angolo degli occhi / semina briciole di pane caldo / sulle canizie di un giovane spavaldo / dai voce al sordo e allo storpio ali / benedici il nostro grano e i nostri frutti / come se noi fossimo complici dei lutti / del nostro cuore … del nostro cuore …”. Geniale quanto ispirato.
Bella, direi divertita, “La locanda di Giosuè” ci mostra il lato più giocoso, da simpatica canaglia, di Joaquin Sabina che ci descrive con dovizia di particolari gli eccentrici personaggi di una notte madrilena, ovvio quindi che la versione italiana è ben lontana dall’essere traduzione letterale, altrimenti riferimenti e circostanze tipicamente madrilene non avrebbero avuto alcun significato per noi. Super lavoro per Sergio Secondiano Sacchi.
Di “Millenovecentoquarantasette” già ho detto quale sia stato il laborioso lavoro di riscrittura, causa i tanti riferimenti storici, però ne è uscita così una canzone ancor più densa di citazioni, pensate che nel libretto ci sono due pagine di note esplicative in merito, che lascio a chi legge il gusto di apprenderne la qualità.
“Giocare per giocare”, s’intuisce dal titolo, è un tentativo giocoso e un tantino bohémien di far canzone, anche se non mancano accenni al sociale “Che i galeotti anche i più tenaci / possan dormire tra lenzuola in seta / felice sia la bocca che dà baci / e non chiede moneta / e non chiede moneta” e i soliti giochi di parole “Ci mancano sciocchezze per i seri / pensare adagio per andare in fretta / e far l’amore accanto ai cimiteri / tradendo l’etichetta / tradendo l’etichetta”. Un valzer godibile e leggiadro.
“19 giorni e 600 notti” è certamente il brano più famoso di Sabina, forse quello che più di altri mostra il suo spirito dissacrante, il tema è quello dell’approccio amoroso con tanto di rifiuto “Cosi se ne andò / Si levò senza / neanche lasciarmi / un saluto di mancia / e dal taxi, / con eccessi un po’audaci / mi spedì due baci, / uno per guancia”, cui segue un abisso di abisso di 19 giorni e 600 notti per dimenticarla, poi una nuova occasione “Non le chiedo perdono, / perché se mi perdonerà / è perché non le importa / è una donna con la testa alta / con la lingua lunga / e la gonna assai corta”, sembra tutto passato ma “E fini che io / per non assediarla / e ritornai / alla maledizione”. Grande pezzo, energico e spumeggiante.
Occorre una tregua, è giunto il momento di “Insieme a te”, languido canto d’amore dettato dal pianoforte di Onofrio Laviola scritto però da Sabina con il consueto gusto del contraddire il comune sentire “E non voglio pomeriggi con il tè / ciò che voglio cuore mio codardo / è che tu muoia per me / e morire insieme a te se tu ti ammazzi / e ammazzarmi insieme a te se poi tu muori / perché l’amore quando non muore ammazza / ma l’amore che ammazza poi non muore”.
L’amore chiama amore e si giunge così a “Camera vuota”, languido e triste canto dal sapore messicano, in cui il suo spirito acido è ancor più schietto e crudo “Non sei la mia colonna, non sono il tuo tappeto / detto a uomo da donna, o meglio vis à vis / non è stato l’altare il mio sogno segreto / perciò posso levare le mie tende da qui”. E’ ancora amore, ma è ancora soprattutto solitudine, l’amore quello vero resta un’utopia.
“E sempre si barava con la vita e con gli amici / fingendoci felici, dormendo qua e là, / e dici quel che pensi e non pensi a ciò che dici / per raccattare baci che san di carità” così Lu canta in “Cosi giovani e vecchi“, quasi si trattasse di una continuazione di questo senso di sconforto e di deriva esistenziale che pervade la poetica di Sabina. Essenziale il contributo del violoncello di Martin Pratissoli.
Chiude il disco “Molto più di un buon motivo” che, in origine, era un unico brano con quello che apre il disco, continuando così il gioco di accostare immagini del quotidiano vivere, sfruttando con grande abilità parole e rime “Questa lacrima di uomo delle nevi / questa orma della scarpa di Barbablù / queste vite eterne tanto brevi / sotto le gonne che sollevi / tra le Americhe e Corfù”. L’unicità era tale che, nella versione spagnola, i ritornelli erano identici, qui invece ne è offerta una variante e la differenza è musicalmente sottolineata da una sognante chitarra elettrica suonata da Alex Cambise. Affascinante infine il sospensivo finale con organo e sega armonica.
Un disco prezioso, che vede il definitivo affermarsi di Lu Colombo nell’ambito della canzone d’autore, in questo disco è solo interprete delle canzoni del grande cantautore spagnolo Joaquin Sabina (tradotte da Sergio Secondiano Sacchi), ma il contributo offerto dalla sua voce è fondamentale nel dare splendore e lucentezza a canzoni dalle tinte forti, le stesse che caratterizzano i quadri di Lu pittrice.
Questo disco nasce dalla mente di una delle colonne portanti Premio Tenco e considerarlo da Targa Tenco per la sezione interpreti di canzoni non proprie, sembra quasi di incorrere nella scure del garante per l’antitrust, ma io il rischio voglio accollarmelo lo stesso, perché a mio modestissimo parere il disco di Lu è davvero un gran disco.
Lu Colombo
Molto più di un buon motivo
Tracks:
- 1) Chiusura per fallimento
- 2) Una canzone per la Maddalena
- 3) Le lune di miele
- 4) Come un mal di denti
- 5) Il chiosco di Giosuè
- 6) Millenovecentoquarantasette
- 7) Giocare per giocare
- 8) 19 giorni e 600 notti
- 9) Insieme a te
- 10) Camera vuota
- 11) Cosi giovani e vecchi
- 12) Molto più di un buon motivo
Renseignements pris à partir du disque
Crediti
Lu Colombo: voce, chitarra (11)
Francesco Grant: arrangiamento (1, 8), programmazioni (1), chitarre (1, 8)
Camilla Barbarito: voce (1), coro (7)
Daniele Caldarini: pianoforte (2, 4), tastiere (2, 4), programmazioni (2, 4)
Francesco Gaffuri: contrabbasso (2), basso (4)
Andrea Simeoli: violino (2)
Martin Pratissoli: violoncello (2, 11)
Fabrizio Consoli: chitarre (3), basso acustico (3)
Angapiemage Persico: violino (3)
Francesco Grigolo: trombe (3)
Pierluigi Petris: voce (3, 5), chitarre (5, 6, 10, 12), chitarra (7), coro (7), bandurria (10), arrangiamento violoncello (11), direzione (12), arrangiamento (12)
Massimo Villa: chitarra portoghese (4)
Enrico Pesce: pianoforte (5, 12), organo (12)
Maurizio Dehò: violino (5)
Michele Staino: contrabbasso (5, 7, 9, 10), basso (12)
Ellade Bandini: batteria (5, 7, 12)
Alex Cambise: mandolino (6), coro (7), chitarra solista (12)
Gianfranco Calabrese: arrangiamento (7), programmazioni (7)
Lorenzo Contaldo: fagotto (7)
Paola Falcioni: flauto (7)
Francesco Grigolo: tromba (7), trombe (10)
Jacopo Hachen: organo (7), tastiere (10, 12)
Giorgio Pagano: sega armonica (7, 12)
Sabrina Gabriele: coro (7)
Lisa Petti: coro (7)
Daniele Segreto: coro (7), voce (12)
Max Minoia: programmazioni (8)
Demo Morselli: trombe (8)
Onofrio Laviola: arrangiamento (9), pianoforte (9)
Massimo Martellotta: chitarra twangy (10)
Stefano Covri: chitarra (11)
Testi e musiche di Joaquin Sabina tranne: “Chiusura per fallimento” e “Molto più di un buon motivo” (musica di Alejo Stivel), “Una canzone per la Maddalena” (musica di Pablo Milanés), “Come un mal di denti” (testo di Subcomandante Marcos, Joaquin Sabina – musica di Pancho Varona), “Millenovecentoquarantasette” (testo di Joaquin Sabina, Antonio Oliver), “Giocare per giocare” (musica di Joaquin Sabina, Ariel Rot), “Insieme a te” (musica di Joaquin sabina, Pancho Varona, Antonio Garcia de Diego), “Così giovani e vecchi” (musica di Carlos Varela)
Tutti i testi delle canzoni sono stati tradotti da Sergio Secondiano Sacchi
Produzione artistica: Sergio Secondiano Sacchi
Produzione esecutiva: Lu Colombo
Direzione musicale: Pierluigi Petris
Mastering: Sonoria Recording Plant – Prato
Fotografie: Gianluca Gori
Grafica: Roberto Molteni – Studio Compass