Voglio esprimerti una mia considerazione che vuol essere al tempo stesso anche un po' una provocazione: di questa edizione del Tenco 2009 so che molti critici si sono meravigliati dell'assenza dell'ultimo lavoro di Paolo Conte, dalla rosa dei cinque dischi finalisti e che ha poi decretato la vittoria, meritatissima secondo me, di Max Manfredi con “Luna Persa”, io, però piuttosto ho trovato assurda l’assenza del tuo “Neve” perché ritengo sia uno splendido disco per certi versi ancora meglio del precedente “L’uomo flessibile”, che mi dici in merito?
È una domanda che devi rivolgere ad Enrico De Angelis, direttore artistico del Tenco.
Restiamo a “Neve” perché hai dato questo titolo al tuo ultimo lavoro? In tutto il disco non si trova mai questa parola e non trovo riferimenti diretti alla neve, è forse legato all’atmosfera fredda ed invernale che fuoriesce tra le righe delle canzoni, in un certo senso una sorta di gelo dell’anima?
La neve è il sogno, il riposo, l’incanto. Ho letto ieri un articolo in cui si narra che l’attuale sindaco di Mosca ha intenzione di utilizzare velivoli ”fendi nuvole” per impedire alla neve di cadere su Mosca. Un’operazione che ha chiamato “Dissipazione” (della neve, appunto). Oltraggioso e grottesco, oltre che demenziale.
Al di là del diverso linguaggio musicale adottato, con “Neve” sei ricorso allo strumento dei lieder, trovo ci sia un legame abbastanza stretto tra questa tua ultima fatica e “Personaggi criminali”, se là il viaggio nell’animo umano portava a situazioni da psichiatria criminale qui comunque si avvertono disagi esistenziali, solitudini incolmabili, futuri senza luce, dico male?
Mi sembra una lettura un po’ pessimistica di “Neve”. È un lavoro sicuramente molto intimista, disponibile a varie interpretazioni. Riascoltandolo mi sembra di trovarmi di fronte ad otto brevi racconti che finiscono tutti con un punto di domanda. Forse per questo motivo ti ricorda “Personaggi criminali”. Dentro la calma apparente del paesaggio di ”Neve” si muove qualcosa e l’immagine più appropriata, forse, è quella dello svenimento, dell’addormentamento. La fase che precede il sonno è per me sempre un momento di comprensione, di rivelazione e di ricognizione. Mi sto interrogando su questo tema perché le canzoni mi sembra nascano da questo tipo di stato, di condizione.
A proposito di linguaggio musicale com’è nato questo sodalizio musicale con il pianista Cesare Picco e il violista Danilo Rossi, questa svolta radicale verso una nuova forma di canzone tanto simile ai lieder classici più moderni, è stata una scelta dettata dai temi del disco o la volontà di intraprendere un nuovo percorso artistico?
Cesare è uno dei miei pianisti preferiti in assoluto e non lo dico perché è un amico. Avevo in testa da anni di combinare qualcosa con lui. Era arrivato il momento giusto. Inoltre il mondo musicale di Cesare è ricchissimo e non si limita allo strumento, l’ho lasciato completamente libero di adattare i miei brani al suo modo particolarissimo di suonare e di pensare la musica. Danilo è semplicemente il miglior violista del mondo. Fortunatamente, ogni tanto, gli viene voglia di fare incursioni musicali fuori dall’ambito strettamente classico. La cosa più seducente è vederlo, vederlo suonare, intendo. L’espressività del suo gesto e del suo corpo è un tutt’uno con la musica, davvero unico.
Addentriamoci tra le tracce del disco, partendo dalla canzone introduttiva “Lezioni di tenebre” dove affronti quella fase di abbandono verso l’inconscio che precede il sonno vero e proprio, l’attimo che traghetta l’io dal piano del reale al mondo parallelo dei sogni, qui questo passaggio avviene tramite le pagine di un romanzo, ma quanto la letteratura conta nel tuo universo musicale, al di là che so che nella vita sei libraio?
Sono stato libraio tanti anni fa. Anni gloriosi e divertenti. Lì, in effetti, ho imparato ad amare definitivamente i libri.
“La pratica del salasso”è forse la canzone più inquietante, quella che in maggior modo mi ha richiamato alla mente il tuo disco “Personaggi criminali”, passaggi come “C’è un assassino nascosto nel bosco / brilla la luna lo riconosco / brilla la vita brilla la lama / notte di lucciole per chi si ama / brucia il coltello brucia la gola / donna che fugge col sangue che cola” lasciano presagire un dramma consumato tra chi si conosce bene o sbaglio.
È una favola noir. È una canzone che potrebbe stare in un’operina stile Brecht/Weill. È un brano che risente di qualche lettura lombrosiana.
Ciò che mi resta più oscuro a livello di testi in questo disco è, però “Il merlo”, canzone musicalmente ineccepibile, un po’ Schubertiana direi, per quel suo carattere ondivago e spumeggiante, mi sembra alludere ad un distacco, ma è molto ermetica, forse sono io poco sensibile a questo genere di poesia mi chiarisci se c’è da chiarire?
Immagina una canzoncina da carillion. Mi piaceva quest’idea di un merlo che imita la suoneria di un cellulare. La tecnologia che s’intrufola subdolamente nei gesti più impensati, anche degli animali.
C’è invece un brano che, secondo me, scarta un po’ verso il tuo fortunato “L’uomo flessibile”, mi riferisco a “Naso che cola”, a me ricorda per sonorità “La palude”, anche se parla di tutt'altro, anche se nuovamente è difficile dire in poche parole di cosa effettivamente parli perché procede per accostamenti o meglio per contrasti “Il tavolo è pulito, il tavolo è sporco”, “un angelo mi picchia, un diavolo mi consola”, “mi sento male mi sento pulita”, “gioco di prestigio… col coniglio che muore” è come vi fosse in atto nella quotidianità del vivere l’eterna lotta tra bene e male, ma cosa è bene e cosa è male?
Il naso che cola e la lingua che batte sono due segnali inequivocabili di una forte dipendenza dalla cocaina. È di questo che la canzone parla. Hai ragione: ci sono affinità di testo e musicali con la palude. Un certo ”ermetismo” delle parole e l’utilizzo delle note basse del pianoforte; l’atmosfera è onirica anche se il tema della canzone è molto preciso.
Anche in “Scrivo” si ritrova questo gioco di contrasti “Scrivo scrivo scrivo / che la vita è imperfetta per più di un motivo / Scrivo scrivo scrivo / che la vita è bellissima per più di un motivo”, ma si trova anche la difficoltà dello scrivere “Scrivo adagio, scrivo con disagio / in continua attesa di una luce accesa / scrivo delle idee, qualche informazione, / uso un po’ di arte e un po’ di imitazione”, non so quanto ci sia di autobiografico in questo testo, però credo che in quel che scrivi o meglio scrivete (scrivi con Gianluca Martinelli da sempre), ci sia arte e ci sia soprattutto la difficoltà del mettersi a nudo attraverso la scrittura o sbaglio?
È un’esperienza strana e inusuale scrivere a quattro mani. La magia scatta quando abbiamo entrambi qualcosa da dire. È per questo che ci siamo interrogati sul lavoro quotidiano dello scrivere. La canzone, in effetti, parla anche di noi ”Scrivo a quattro mani, scrivo solo in coppia, scrivo e tutto, tutto si raddoppia”…
Rileggendo queste mie domande non vorrei aver dato l’idea di un disco mesto e pieno di dolore, c’è sì sofferenza, ma ci sono anche momenti d’amore come con “Baby, “Terrazza Belvedere” ed “Ultima”, ultima solo come titolo e come disposizione nella track list perché trovo sia una canzone stupenda che mette in mostra la bellezza dell’essere femminile cui, però l’uomo non sa ancora rispondere con la sufficiente maturità, così mi par di cogliere in “Se vedete quella donna, vi prego è roba mia”. Che mi dici in proposito?
Ultima è una canzone che mi piace perché parla di come si può illuminare il mondo anche stando un po’ in disparte.
“Neve” sarà un tour teatrale? Ma soprattutto rappresenta il tuo nuovo modo di essere o deve essere considerato semplicemente una tappa del tuo percorso stilistico? Giusto per chiudere, cosa ti riservano i prossimi mesi artisticamente parlando?
Le date sono in via di definizione. Ma i concerti,per ora, saranno rigorosamente col trio del disco. Se la mia oblomoviana pigrizia me lo consentirà mi attiverò presto in una riesumazione del mio sito ufficiale. Lì si potranno vedere presto le date.
Carlo Fava: Interview sur 02/11/2009
Posté le: 03/11/2009