Banda Elastica Pellizza

La parola che consola

Critique
Posté le 12/02/2009

La parola che consola: divertiment tre bon…

No, non si tratta di un errore di sintassi, il titolo in falso francese che ho voluto dare a questa mia recensione si ispira al brano che, secondo me, più di tutti gli altri rappresenta lo spirito di questo godibilissimo disco d’esordio della Banda Elastica Pellizza, un disco che diverte, che contiene una manciata di brani che entrano in testa sin dal primo ascolto e magari ci accompagnano passeggiando per strada, sotto la doccia, a tavola, ma attenzione, questo è il maggior pregio, senza scadere mai nella banalità ed ancor meno nella volgarità anche nei momenti più demenziali o meglio surreali e di questi tempi penso sia un pregio fantastico.

Gran merito di questo bel disco è da attribuire a Daniele Pellizzari autore di tutti i testi e le musiche e dotato di una bella e suadente voce calda come un buon bicchiere di brandy ma nulla sarebbe stato possibile se il produttore esecutivo ed artistico Daniele Lucca non avesse creduto e a ragione in questo anomalo ed originale progetto.

Bando però alle ciance e vediamo o meglio ascoltiamo come si articola questo progetto.

Il disco si apre con la title-track “La parola che consola”, una sorta di slow musicalmente molto cinematografico, con fronzoli di fisarmonica, piacevolissimi sfondi di sax, non saprei darne la motivazione, ma mi ricorda la Francia, il testo è decisamente surreale ma raffinato “ma ecco rotoli di comiche / per fare ridere gli amanti tragici / trecento calci dietro l’angolo / e sette topi nello zipangolo / ci sono treni per le americhe / impermeabili ad ogni virgola / ci sono amori indistruttibili / che non si sciolgono nell’acido / la soluzione salta al gomito / spostando l’ottica con la carrucola”.

E’ invece tirata ed elettrica “Stile”, giocata su tonalità basse e sulle chitarre elettriche, con un finale che vede all’opera lo splendido e strozzato sax di Antonio Marangolo, il testo non è poi così irreale a pensarci bene “e adesso amate il brutto più del bello / le ideologie vi drogano il cervello / pensiero più che unico massimalismo estetico / e guai se non ci fossero le previsioni meteo”.

Ispirata al personaggio Hulot interpretato dal celebre attore francese Jaques Tati è “Et voilà! monsieur Hulot”, canzone che si apre con la chitarra e si sviluppa con sax e fisarmonica, personalmente la trovo molto contiana ma nel senso del fratello Giorgio per la sua delicatezza, è suonata e cantata in punta di piedi, poetico il testo “e vedo un turbine di foglie / carezzare il marciapiede / e un cliente di barbiere col riporto in su / e macchine su macchine su macchie di caffè / pipa ombrello chapeau / et voilà! monsieur hulot”.

Una bella fisarmonica e lo swing di un pianoforte aprono la “gustosa” “Tre bon” canzone dal testo in puro grammelot, un “finto” francese che ne fa un brano ammaliante sin dal primo ascolto, il tema del motivo è ovviamente il cibo ed il tutto è davvero giostrato con grande ironia “degiunè non mangè / sacco vuot tu sas ne pa sta in pè / oui je sui catrìn deneuve / oui non c’entra nient ma ilè tre divertent / l dietolò ilè gros come un palon / ma chi te lo fa fer”.

E’ invece decisamente rurale l’inizio di “Pollo”, tra fremiti d’ali e versi di polli, la sonorità è decisamente andina con quel quena che introduce e accompagna in più punti gli altri strumenti, ma vi sono anche sonorità elettriche ed il testo è tra i più realistici dell’intero disco, c’è sempre ironia, ma più amara “voto a destra / dato che non sono comunista / voto a sinistra / dato che non sono comunista” perché in fondo come canta in chiusura Daniele “ciao mi chiamo pollo / e volo a stento sai / scrivo canzoni ironiche / ma non mi diverto, quasi, mai”.

Swing al confine con il charleston è “Mi ma”, una vera delizia per le orecchie con il bassotuba a cadenzarne il ritmo con chitarra, clarinetto e mandolino a ritagliarsi piacevoli melodie, anche il cantato è divertente con quell’accento pugliese ed il testo è ironicamente spassoso “io t’ho incontrata nella notte / lungo la via delle mignotte / tu che facevi l’occhiolino / io che sfrecciavo in motorino / una passione travolgente / un incidente / comico chissà / l’amore è bello / colora la realtà”.

Cani”, latineggiante, con il djembè ed i timbales, la chitarra elettrica e la fisarmonica a darne impeto e giusta energia, si chiude con l’abbaiare di cani messi a cuccia dal proprio padrone, ma ad ascoltare bene il testo ci si accorge subito che sono altri, i “cani” soggetti della canzone “cani che perdono le bave per le ragazze slave / per le ragazze slave … cani dentro i salotti buoni a far rivoluzioni / a far rivoluzioni … cani seduti in parlamento o in piedi nel cemento / o in piedi nel cemento “.

Ninna oh” è proprio una classica ninna nanna, con tutti gli ingredienti tipici delle ninne nanne, melodia delicata, testo dolce e fiabesco, una bella voce femminile ed in più gli inserti splendidi del sax di Antonio Marangolo.

Curiosissima, ipersurreale è “Orbito” strampalata canzone comico-siderale dalle ondivaghe sonorità hawaiane-mexicane, un dichiarato omaggio al mitico Mario Marenco, alias Navarro, è difficile renderne a parole il carattere disincantato e divertito con quel testo davvero cult “lancio il segnal / salvate il capsulon / chiamo il bas / ma non sente un cas / non si sente un cas / soy capitan spasial / sto andando fuori fas”.

Anche con “Parliamo tutti di” è difficile inquadrarne il genere, a tratti è rockeggiante, anche un po’ blues, poi si volge di scatto in twist, c’è persino un coretto tipo Bud Spencer e Terence Hill, a livello strumentale ci sono chitarra elettrica, il solito grande sax e la fisarmonica a farla da padroni, il testo sembra estrapolato da un tormentone di Celentano “lui parla di me mentre io parlo di lui / mentre tu parli di lei mentre lei parla di te / lei parla di noi e noi parliamo di lei / e voi parlate di lui che parla sempre di me”.

Nel disco c’è spazio anche per sonorità andaluse con “Abbiam vestito Sarah” tra palmas e chitarre arpeggianti, fino ai versi conclusivi in spagnolo “si la noche llega / y el tiempo no hay pa’ mi / para el carro sarah / y llevame jounto a ti”.

Il momento serio dura però poco, perché con il successivo brano “Il chakra della lumasa” si torna alla demenzialità, anzi forse qui si raggiunge l’apice, a livello di testo è difficile trarre il passaggio più riuscito perché è un susseguirsi di passaggi kitsch esilaranti, musicalmente ci sono sonorità elettriche, distorsioni, cenni arabeggianti per finire in sudamerica.

Dopo tanto eccesso giunge il momento della riflessione e della serietà “davanti ad ogni parola c’è un guardiano / trotta avanti e indietro sul suo cavallo nano / quando si ferma per riposare / ecco, quello è il momento buono per entrare”, così recita “Dietro ogni parola”, tutta giocata in toni dimessi fino alla lunghissima coda, un valzer d’altri tempi, un po’ felliniano, giusto coronamento all’intero lavoro, ma… attenzione, perché non è ancora finita c’è spazio per un surreale dialogo intorno al pollo, quello già conosciuto in precedenza, d’altronde poteva finire “seriamente” un disco così?

“La parola che consola” è davvero un disco originale, surreale, geniale come la semplicità di quella copertina con l’accensione di un fiammifero, colpo di luce e d’ingegno, ma mentre la luce di un fiammifero si spegne subito, questo disco resta, entra nel cuore di chi lo ascolta, magari all’inizio lo fa con i brani più facili e fuori dagli schemi come “Tre bon” o “Mi ma”, ma poi non si ferma più.

Magari non è un capolavoro, magari non è da targa SIAE/Tenco, non lo so non spetta a me dirlo, però è uno di quei dischi che non ti stancheresti mai di riascoltare, in grado di farti sorridere anche quando sei giù, per di più suonato in modo straordinario grazie non solo alla Banda Elastica Pellizza ma anche agli ospiti, dal già citato Antonio Marangolo ai sax, al tocco inconfondibile di Marco Spiccio al pianoforte in “Tre bon”, alla purezza di suono di Furio Di Castri al contrabbasso presente in ben tre pezzi tra cui la title-track, nonché la voce di Roberto “Freak” Antoni a rendere più gustoso il brano “Il pollo”.

In sintesi diverte senza banalità e senza volgarità, bisognerebbe regalarne qualche copia a chi oggi realizza programmi televisivi, chissà che non tragga qualche insegnamento.

Banda Elastica Pellizza - La parola che consola

Banda Elastica Pellizza

La parola che consola

Cd, 2008,

Tracks:

  • 1) La parola che consola
  • 2) Stile
  • 3) Et voilà! Monsieur Hulot
  • 4) Tre bon
  • 5) Pollo
  • 6) Mi ma
  • 7) Cani
  • 8) Ninna oh
  • 9) Orbito
  • 10) Parliamo tutti di
  • 11) Abbiamo vestito Sarah
  • 12) Il chakra della lumasa
  • 13) Dietro ogni parola

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