Vinicio Capossela
Da solo
Da solo: meglio da solo che…
Quando parlo di un disco solitamente non amo far paragoni con altri artisti ed anzi mi da fastidio chi scrive che un cantante assomiglia a tizio, scrive come caio, però ricorda sempronio, questa volta però, in occasione dell’uscita del nuovo disco di Vinicio Capossela dal titolo “Da solo”, voglio fare un’eccezione.
Vorrei quindi fare un paragone e sapete con chi? Con Vinicio Capossela!
Mi direte, ma Fabio è diventato pazzo tutto di un colpo, che cosa vuol dire paragonare Vinicio a Vinicio stesso? Beh, allora mi spiego: ho letto da più parti che il nuovo disco seppur geniale non sia il capolavoro che è stato il precedente “Ovunque proteggi”, io voglio andare controcorrente, cercando di dimostrarvi che “Da solo” val più che “Ovunque proteggi”, affermazione che, detta così ricorda un po’ il detto: meglio soli… che male accompagnati.
Introduciamo allora il cd nel lettore e via con l’ascolto.
Si parte con “Il gigante e il mago” canzone un po’ circense e un po’ fiabesca che incanta da subito, ti si incolla addosso e non ti molla più con lo splendore del suo testo che si chiude così “E i tamburi stanno zitti / e la grancassa tace / ma i tuoi bambini non lo sanno e continuano a giocare / chiudi gli occhi e non sai quanto / quanto a lungo puoi durare / chiudi gli occhi e ti ritrovi / col gigante e il mago” su un tinntinnio leggero di campanelli e dopo un ingresso tronfante e maestoso con tanto di fiati, un recitato su un ecclesiale organo, i piatti e la grancassa. Com’è? Magico, come poteva essere altrimenti?
“In clandestinità”, brano radiofonico non nel senso di commerciale, ma perché è stato il brano di lancio del disco, è molto più placido, con il pianoforte in primo piano un po’ come promesso da Vinicio alla vigilia dell’uscita del disco stesso, presentato come “disco per solo pianoforte e piccoli strumenti”, il testo qui rasenta la perfezione “Qualcuno mi protegga / da quello che desidero o almeno mi liberi da quello che vorrei / dall’obbedienza e dal timore e dalla viltà / guadagnar la libertà dalla clandestinità” ed è segno mirabile del mal di vivere di oggi, una continua insoddisfazione di quel che si è e di quel che si ha.
Ancora il solo pianoforte, con le note in caduta libera, ci introduce nel mondo intimistico di “Parla piano”, una canzone d’amore sublime per il suo carattere struggente ed un testo capace di tracciare un solco profondo nell’animo di chi ascolta “Quando ami qualcuno / meglio amarlo davvero e del tutto / o non prenderlo affatto / dove hai tenuto nascosto finora chi sei? / cercare mostrare provare una parte di sé / un paradiso di bugie”.
“Una giornata perfetta”, tra ragtime e divertissement e introdotta dal fischio-richiamo d’amore dell’amico da sempre Vincenzo Costantino “Cinaski”, sembra uscita da una vecchia radio a valvole e sa far muovere piedi e gambe anche a non volerlo, rappresenta una ventata di leggerezza come sembra far intendere anche il testo “Non si è fatti per stare a soffrire / andarsene se è ora di finire / affidarsi alla vita / senza più timore / amare con chi sei o dare a chi ti dà e non desiderare sempre e solo quello che se ne va…” e sembra la negazione di quanto cantato fino alla precedente canzone. Follia e genialità non vanno forse a bracetto.
Sss, silenzio per favore, si sentono delicatissimi strumenti giocattolo, ma attenzione signori, che arriva il capolavoro assoluto: “Il paradiso dei calzini”, in cui qualcuno può ritrovarsi, a volte, per l’intera esistenza “Chi non ha mai trovato il compagno / fabbricato soltanto nel sogno / chi si è lasciato cadere sul fondo / chi non ha mai trovato il ritorno / chi ha inseguito testardo un rattoppo chi si è fatto trovare sul fatto / chi ha abusato di napisan o di cloritina / chi si è sfatto con la candeggina”. Splendida metafora della vita umana, commovente fino alle lacrime.
“Orfani ora” è l’ennesima canzone d’amore, ma che canzone! Basterebbe questa frase “Siamo orfani ora io te e la strada / se non si divide il buio si tradirà sempre la luce” cantata sullo splendido tema, a farne una canzone di quelle da non riuscire a liberarsene come in un loop. Attenzione però, perché se vi fermate lì perdete il seguito, che non è da meno.
Più tradizionale è senza dubbio “Sante Nicola” canzone natalizia uscita dallo spettacolo di strada “I cerini di Sante Nicola”, è forse proprio la sua eccessiva tradizionalità a renderla canzone “nella norma”, che per Vinicio è comunque di buon livello.
E’ ancora una volta il pianoforte solo a introdurre la lenta, cadenzata ed a tratti anche maestosa “Vetri appannati d’America” che parla di storie lontane, con un senso di solitudine e di desolazione davvero toccanti, con un Vinicio che canta in un crescendo quasi lirico “Marinai e soldati ai telefoni occupati / (e non arrivo ancora a te) / funerali e bande bandiere e fanfare (d’America) / sono Jim e sono un alcohol / sono John e sono oversize / e grazie Signore / per il dono della sobrietà / per farmi accettare quel che non posso cambiare e per il coraggio di fare nell’unione di anonimi Dio salvi l’America”. Notevole.
“Dall’altra parte della sera”, che apre il sipario con i languidi tocchi del pianoforte è ancora una volta una canzone d’amore, ma attenzione, si tratta di un duplice amore appena finito, capace di lasciare alle spalle un dolore insanabile, vi si canta di una lei “Dall’altra parte della terra una luce trema nella sera lei gioca con l’anello al dito“ e di un lui “Da questa parte della sera lui s’incammina oltre la strada la notte prende il posto al giorno”. Davvero geniale questa doppia carrellata cinematografica girata in parallelo tra due amori finiti.
Canzone uguale alla precedente nella melodia, ma con un testo totalmente diverso per poterla cantare con gli amici Calexico è “La faccia della terra” che narra una storia i cui riferimenti e nomi dei personaggi sono tipicamente biblici come è d’uso sovente in America “E gli uomini e le donne come talpe cieche / le costole continuano a intrecciare / e desideri muti travolgono le loro vite sulla terra / nudi e bisognosi / e continuano a lasciarsi ciechi storpi e soli sulla nera nera terra a cercare”. Meno interessante della sua gemella.
“Lettere di soldati” è giocata su una semplice e ripetitiva melodia dettata dal pianoforte e poi ripresa, trasformata, intrecciata ai fiati, cucita con gli archi, rallentata fino a quasi fermarsi, poi ripresa ancora ed è magia, per un testo che racchiude un epiteto come questo “Uccidere non è peccato se non sei ucciso tu / uccidere non è peccato se è regola e lavoro”, qui le lettere di soldati sembrano messe in gioco per una più vasta e profonda riflessione sulla vita e la morte.
Chiude “Non c’è disaccordo nel cielo”, l’unica canzone non totalmente composta da Vinicio, ma solamente riscritta su una melodia scritta invece da Frederick Martin Lehman nel lontano 1914 e appartenente al repertorio Gospel. Ne esce una canzone che sa di cielo, di paradiso, di angeli e rappresenta la chiosa ideale ad un disco cosi fatto. E’ anche singolare come Vinicio abbia voluto chiudere questo lavoro con una sorta di riflessione religiosa così come era stato anche con “Ovunque proteggi”. D'altronde quali parole migliori potevano farlo, se non queste “Così resto solo col cielo / e altro non vedo e non so / ma se tutto è nascosto nel cielo / al cielo io ritornerò / Ma se tutto è nascosto nel cielo al cielo io ritornerò”. Canzone giusta al momento giusto, perfetta.
Dopo ripetuti ascolti io resto dell’idea che questo disco, con tanto pianoforte ma anche tanti suoni in sottofondo, melodie appena accennate, armonie ricercate e poi abbandonate, sia ancora migliore di “Ovunque proteggi” e se non sono riuscito a convincervi con le parole, lasciatevi allora sedurre da queste sue nuove canzoni.
Non vi pentirete certo di aver ascoltato questo mio consiglio.
Vinicio Capossela
Da solo
Género: Cantautorale
Canciones:
- 1) Il gigante e il mago
- 2) In clandestinità
- 3) Parla piano
- 4) Una giornata perfetta
- 5) Il paradiso dei calzini
- 6) Orfani ora
- 7) Sante Nicola
- 8) Vetri appannati d’America
- 9) Dall’altra parte della sera
- 10) La faccia della terra
- 11) Lettere di soldati
- 12) Non c’è disaccordo nel cielo
Información tomada del disco
Glauco Zuppiroli: contrabbasso
Zeno De Rossi: batteria, grancassa e piatti
Vincenzo Vasi: theremin, toy piano, glockenspiel
Alessandro "Asso" Stefana: lap steel, chitarra fantasma, tubular bells, chitarra elettrica, autoharp e marxophone
Anthony Coleman: mighty Wurlitzer theater organ
Fabrice Martinez: violino
Enrico Gabrielli: clarinetto
Ottoni: Frank London e Matt Diarrau dei Klezmatics, Violoncello: Mario Brunello (in “Lettere di soldati”), Strumenti giocattolo: Pascal Comelade (ne “Il paradiso dei calzini”)
Cristallarmonio: Gianfranco Grisi.
Archi: Edodea Ensamble (Edoardo De Angelis, Michelangelo Cagnetta, Joele Imperiali, Luca De Muro)
“La faccia della terra”, registrato nel marzo 2008 a Tucson da JD Foster nel corso di una improvvisata e fruttuosa session con i Calexico
L’artwork di “Da solo” è stato concepito e realizzato da Jacopo Leone per la Etcetera di Catania.
I brani di “Da solo” sono tutti scritti da Vinicio Capossela, tranne “Non c’è disaccordo nel cielo” che riprende il titolo di un vecchio inno composto nel ’14 da Frederick Martin Lehman, e di cui Vinicio ha conservato la melodia riscrivendone il testo.