Roberta Di Mario: Entrevista del 02/02/2018

Publicado el: 02/02/2018


Illegacy, prezioso neologismo sospeso tra musica e cinema


Sono passati ben sei anni dal disco “Tra il tempo e la distanza” (2011 – Alfa Music) con cui la giovane pianista e compositrice di formazione classica Roberta Di Mario, esordì nel mondo della canzone d’autore. Ad ottobre del 2017 è tornata sulle scene con un nuovissimo progetto dal titolo “Illegacy” (2017 – Warner Music), dieci brani strumentali da lei composti e dal forte impatto cinematografico.

La copertina di un disco è sempre, secondo me, il biglietto da visita con cui l'artista presenta un proprio lavoro. Sono rimasto subito incuriosito dalla foto che ti ritrae in abito lungo, ripresa dal basso, tra grossi massi di pietra sovrapposti e con una scultura, un viso spezzato in due, su un piedistallo. Dov'è stata scatta? Ho letto nel libretto essere opera di Matteo Zamboni cui dedichi anche il disco in "amorevole memoria", mi parli di come è nata e del vostro rapporto?

Grazie Fabio! La cover di questo album è davvero potente ed è stata scattata nell’anfiteatro dell’Anima di Cervere (Cuneo), in occasione del mio opening act a Dario Vergassola e in occasione del videoclip “Indefinitely”. Matteo Zamboni è il fotografo che ha scattato questa foto magica ed è mancato lo scorso agosto a seguito di un incidente stradale. Aveva 21 anni e tantissimo talento.  Questo disco e questa copertina ha tatuato per sempre Matteo! ❤

Senza dubbio, ma potente, evocativo e, allo stesso tempo, creativo, lo è anche il titolo "Illegacy". La mia, purtroppo, scarsa dimestichezza con l'inglese mi ha condotto a ricercarne il significato ma, sorprendentemente, il vocabolo in realtà non esiste, ho quindi pensato tu abbia voluto riunire due altri vocaboli, ossia “illegal” e “legacy”, dico una fesseria? Quindi una certa illegalità nella natura della tua musica e un senso di ereditarietà dal tuo passato, immagino, ipotesi azzardate?

Giustissimo! “Illegacy” è l’unione di “Illegal”, inteso come musica illegale, cioè musica che mi ha rubato il cuore nel momento in cui l’ho scritta e ogni volta che metto le mani al piano per suonarla e “Legacy” inteso come eredità, radici, ovvero il mio viaggio di ritorno verso casa, le mie radici, il pianoforte. È da lì che arrivo.

Parli di musica che ti ha rubato il cuore ma è soprattutto musica che ruba il cuore all'ascoltatore o, almeno, al sottoscritto, a partire dalla prima traccia "Illegal song", una sorta di grimaldello per aprire un varco nell'interlocutore, non credi?

Se anche un solo ascoltatore prova lo stesso turbamento che mi ha attraversato quando ho scritto “Illegacy”, allora, comunque vada, ho vinto. Amo molto “Illegal Song” e mi è sembrato il giusto preludio a tutto il resto!

Io ti ho conosciuta attraverso il tuo primo lavoro discografico "Tra il tempo e la distanza", un disco che mi aveva ben colpito da subito e in cui eri anche autrice di parte dei testi. Cosa ha voluto dire per te non avere più questo onere della parola? Forse una maggiore libertà espressiva?

Avevo voglia di ritornare alle mie radici e lasciare parlare soltanto la musica in modo ancora più potente ed evocativo. Senz’altro il limite della lingua incasella un po’ la creatività! Lasciando spazio solo alla musica si abbattono tutti i confini e si aprono infiniti scenari!

Il concetto di ritorno alle tue radici lo hai espresso anche nel libretto del disco quando dici "Se la felicità non è una meta da raggiungere, ma una casa a cui tornare, se felicità è tornare e non andare, allora “Illegacy” è un po' di questa felicità". Ad opera compiuta quanto ti senti felice? Questo sentimento di felicità è un po’ quello che sembra emergere dal brano "Epilogue" che chiude l'intero lavoro, in cui sembri essere al sicuro dentro casa tua, la pioggia fuori e lo sguardo aperto verso il fuori, verso il futuro?

Mi sento completamente a casa, centrata, sicura, quasi in pace. Scrivo quasi perché c’è sempre un margine di tensione ed irrequietezza che mi rende verso il nuovo, verso altro, ma quando hai le radici ben piantate allontanarsi e, a volte perdersi, è catartico e di grande crescita!

Mi dici come nascono i titoli dei tuoi brani strumentali? Nasce prima la musica o, viceversa, è dal tema scelto che trai ispirazione per la musica? "Duende", dal punto di vista letterario, è il titolo che più mi affascina, me ne parli?

Non c’è una regola né per la nascita di un brano né per i titoli. Le mani scorrono, chiudo gli occhi e qualcosa arriva. A volte parto da un immagine che un titolo può dare, a volte davvero da pura ispirazione. “Duende” è tra i brani che amo di più, per potenza, per magia, per emozione. Si ispira ai ritmi bulgari di Bela Bartok dal punto di vista musicale, ma il “Duende” è parola e significato rubato all’universo spagnolo e, soprattutto, all’universo artistico. È qualcosa che non si spiega a parole, un’energia, una forza che arriva dal profondo e che ti rende e rende la performance artistica speciale. Puoi avere stile, ma se non hai il “Duende” non fai la differenza …

Per promuovere il progetto e i singoli brani del tuo nuovo disco, hai scelto di far nascere da questi dieci brani altrettanti videoclip, è una scelta che vuol anche sottolineare un’intrinseca cinematograficità delle tue creazioni musicali?

Si, “Illegacy” è un progetto non solo musicale, ma visual, 10 songs accompagnate da 10 videoclips (7 già in rete) per proiettare l’ascoltatore in un mondo di bianco nero e colore tipicamente cinematografico! Sembra che la mia musica evochi immagini, così lo abbiamo concretizzato nel concept dei videoclip.

Il tuo futuro? Forse è presto per pensarci ma credi sarà ancora all'insegna della sola musica o ci sarà anche un ritorno alla parola?

Il mio futuro spero sia ricco di concerti e di soundtrack per il buon cinema italiano e non. Mai dire mai per la parola che ritorna in musica. Per ora l’ho chiusa in un cassetto, ma il cassetto resta socchiuso.


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