Giancarlo Guerrieri: Entrevista del 11/10/2014

Publicado el: 12/10/2014


“I Pazzi osano dove gli angeli temono d'andare” scriveva Poe e, in “Pazzu” il nuovo progetto di Giancarlo Guerrieri, il musicista siciliano ha osato molto e non solo artisticamente. Libero da ogni cliché, in quest’ultimo disco i vari generi e stili musicali si fondono piacevolmente e sono al servizio e alla funzionalità delle canzoni. Ecco cosa mi ha raccontato di questa sua nuova “pazzia”.

La prima cosa che mi ha incuriosito di questo tuo nuovo lavoro è la copertina, molto diversa dai lavori precedenti, ha quasi un qualcosa di messianico, quella folla di colore e tu quasi assunto in cielo com’è stata scelta e perché?

La fotografia così come tutto il progetto grafico è di Charley Fazio, la foto è nata da una sua idea e, in effetti, il mio tuffo su quelle mani tese, che mi salveranno, sono una rete di sicurezza per un folle tuffo nel vuoto. Sono del parere che dai paesi sottosviluppati India, Africa, ecc. in futuro arriverà la nostra salvezza o redenzione, questo perché la globalizzazione ci sta portando sempre di più a non capire il mondo. In questo caos ordinato, verrà fuori l'umanità del futuro che da questi paesi salverà il mondo ... come non lo so, ma le profezie sono sempre un po’ ermetiche.

La musica può qualche cosa in tal senso? Da quanto canti in "La musica è putenti", energico pezzo che apre questo lavoro sembrerebbe proprio di si o sbaglio?

La musica ha una forza insita che può tutto, io sono dell'idea che con la musica si possono ancora fare le rivoluzioni "culturali" ed io imbracciato la mia chitarra, in “La musica è putenti” do voce a quella moltitudine di uomini semplici che nella canzone si ritrovano di colpo abbracciati sotto lo stesso cielo uniti da un ideale di giustizia e fratellanza, una sola voce, perché “La musica è potente e non si arrende, mai”.

Ciò che più mi ha colpito favorevolmente di questo lavoro è da una parte la bellezza e l'impegno civile dei testi dall'altra l'immediatezza di molte canzoni, hai saputo coniugare alla perfezione fruibilità (nonostante le difficoltà del dialetto per chi non è siciliano) e impegno, pregio non da poco. Concordi?

I testi sono stai scritti con moltissima attenzione, ci sono stati ripensamenti e, più di una volta, ho voluto confrontarmi con altri colleghi cantautori, che mi hanno aiutato nell'avere fiducia in me, poi ci sono state le canzoni scritte con Kaballà che ha saputo entrare nei miei brani scritti insieme con molto entusiasmo, senza però invadere troppo "il campo". Il mio stile si è andato delineando sempre di più in questi due ultimi dischi, con “Pazzu” ho fatto un ulteriore step, che mi ha permesso di scrivere in dialetto storie pensate in italiano, accostandomi alla lingua italiana con naturalezza e il risultato è stato appunto questo esperimento, che nella versione in siciliano di “L'uomo è pazzo” è più evidente.

Mi hai anticipato, volevo giusto che parlassi di "L'uomo è pazzo" o di "Pazzu" se guardiamo alla versione in siciliano. Nella versione in italiano duetti, per altro, con Roberta Zitelli una delle voci più belle che abbia sentito in quest’ultimo anno di ascolti. Com'è nato questo brano e com'è nata l'idea di affidare a lei il ruolo femminile?

Questa canzone è nata a Milano durante la registrazione del disco, avevamo bisogno di una canzone lenta che andasse a chiudere l'album, ed io mi sono fermato a leggere una frase che avevo scritto a matita su di un foglietto volante ... forse qualche giorno prima, "L'uomo è pazzoooo". A quelle parole però mancava una melodia, che Mario Saroglia ha saputo trovare immediatamente, poi avevamo bisogno di una storia da raccontare o un messaggio da far passare e con Kaballà abbiamo pensato di scrivere un brano che parlasse di femminicidio, la voce di Roberta Zitelli mi è sembrata da subito la più adatta a interpretare il brano, conoscendola bene da molti anni, infatti, Roberta è la corista della BANDACAMINATI, formazione che mi accompagna oramai da cinque anni- Il risultato è stato quello auspicato, cioè un brano intenso che sa emozionare ma soprattutto riflettere.

Una delle canzoni che secondo me ha questo potere di far riflettere su come in pochi anni il mondo, i valori siano cambiati completamente, è "Carizzi e petri", una delle più evocative direi.

E’ vero, ho voluto raccontare la storia di una donna di altri tempi, che ha visto la guerra e vissuto i soprusi, la miseria e, dopo una vita che comunque gli ha regalato l'amore, dei figli e dei nipoti, giunta alla fine dei suoi giorni, si rende conto che ha il dovere di lasciare in eredità quei valori universali che non hanno prezzo, perché la vita senza l'amore non ha alcun valore.

Nel disco è inserita anche una splendida cover di una canzone di Nino Ferrer, mi riferisco a "Agata", com'è nata l'idea di farne una cover e di darle una veste dal punto di vista così attuale. Uno dei pezzi più trascinanti.

Durante un mio concerto di qualche anno fa il mio amico Peppe Qbeta, front man del gruppo omonimo, mi prese in disparte e mi disse, sai che tu mi ricordi Nino Ferrer sul palco, secondo me dovresti ascoltarlo attentamente, da lì la curiosità di studiare la sua discografia e il suo personaggio. Con “Agata” ho cercato di far rivivere una canzone che è stata scritta negli anni ‘30 da Cioffi e Pisano e che, nella mia versione arrangiata da Mario Saroglia, è rinata con l'idea di provare a farla diventare una Hit radiofonica! Chi può dire che prima o poi non avvenga?

Se "Agata" è canzone che, come dici tu, ha una fisionomia più radiofonica, questo disco è però ricco di canzoni che narrano di resistenze perfettamente in linea con il tema del Tenco di quest'anno, non credo sia una casualità, forse è il tema più sentito in questi momenti così difficili, che dici?

Hai detto bene, in questi ultimi anni in Italia, la situazione socio economica e politica e di conseguenza quella culturale si è andata ad arenare in una palude stagnante, dove regna il mal governo, una coscienza collettiva malata, del prendo tutto quello che c'è da prendere e poco importa se lo faccio onestamente o se questo comporta un danno di natura morale o economico che sia. Gli artisti, i creativi, devono avere il coraggio di denunciare queste cose in maniera aperta, senza timore di essere epurati dai circuiti mediatici, io con questo disco mi sono imposto di raccontare "anche per le future generazioni" quello che siamo stati e che siamo, l'ho fatto con “Super otto” e con “Kavallereska”, due canzoni diverse tra loro, ma legate da un filo conduttore che è il mal comune dell'italiano, credo di averlo fatto con onestà, coscienza e coraggio.

Può ancora l'amore essere una cura contro tutto questo mondo d’interessi e di affarismi? "Zorhat haria" sembra dire di si, ho visto che è stata scritta per te da Mario Incudine ...

Con Mario c'è una profonda e sincera amicizia, rara in un mondo come quello della discografia, tra noi c'è un accordo non scritto, a ogni mio nuovo disco lui deve dare il suo contributo artistico con una canzone, e con “Zorhat haria” l’ha fatto come sempre in maniera eccelsa, l'amore come ho detto tante volte è forse l'unica cosa che conta veramente nella vita di ogni uno di noi, lo canto apertamente nell'altra canzone d'amore "L'unica virità" dove, in un mondo senza più poesia, si è perso il senso della misura, dove la violenza e il caos regnano, l'unica cosa importante è l'amore, quello vero quello universale.

Passo dopo passo abbiamo ripercorso per intero il tuo nuovo lavoro, che hai voluto chiudere con un'altra preziosa cover "U jaddu" che nella versione originale sarebbe "Taglia la testa al gallo" di Ivan Graziani, perché proprio Ivan e perché proprio questa canzone?

Ivan Graziani è stato ed è uno dei cantautori Italiani che hanno caratterizzato e influenzato la leva cantautorale di questo trentennio, da tempo avevo in mente di inserire una sua canzone in un mio disco.
Poi durante la mia tournée in Portogallo, ho deciso di metterla in scaletta con il suo arrangiamento originale. Solo in seguito mi sono accorto che una veste più intima al pianoforte avrebbe perfettamente trasmesso tutto il pathos, la rabbia e quel bisogno di rivalsa, di riscatto sociale, che il testo, pur nel mio riadattamento in siciliano, racchiudeva in se.
Ivan aveva scritto questa canzone dedicandola alla Sardegna, quindi c'è un altro "analogismo insulare" che fa di questa canzone un inno alla resistenza culturale, atavica ed esistenziale, l'attaccamento verso la mia Sicilia è forte così come l'odio per certi aspetti che la caratterizzano negativamente e, con questa canzone, ho voluto cantare il mio amore per essa e il mio odio per le mafie, i soprusi dei politici e dei corrotti che offuscano la bellezza di questa terra che ha un potenziale immenso e che continua a essere un fanalino di coda per infrastrutture, abomini politici e burocratici.

Per concludere ricordo ai lettori che il tuo disco è candidato alle Targhe Tenco nella sezione "Album in dialetto", vuoi aggiungere qualcosa?

Si mi piacerebbe che, chi avrà modo di ascoltare il mio disco, lasciasse una sua considerazione sulla mia pagina di Facebook, un modo per sentirmi più vicino a coloro i quali sono la mia linfa vitale, gli ascoltatori, ai quali va un mi sentito ringraziamento, è grazie a loro, che c'è ancora chi crede di poter cambiare il mondo con un assolo di chitarra elettrica. E’ grazie a loro che io esisto e resisto artisticamente da uomo libero, libero di sognare e far sognare un mondo migliore. Grazie anche a te e a tutti i critici e giornalisti seri che grazie a dio si alzano al mattino e hanno ancora voglia di raccontare la verità delle cose.

Giancarlo Guerrieri