Federico Sirianni: Entrevista del 01/02/2013

Publicado el: 02/02/2013


Il cantautore genovese Federico Sirianni, a distanza di cinque anni dal suo precedente lavoro discografico intitolato “Dal basso dei cieli” (uscito a gennaio del 2007), è appena tornato in campo con un nuovo importante disco che vede la collaborazione con lo Gnu Quartet, che ne ha curato gli arrangiamenti. Sentite cosa mi ha raccontato in merito.

“Nella prossima vita” è il titolo del tuo nuovo disco dove, pur sembrando che nulla cambi rispetto ai precedenti, in realtà tutto cambia, in barba ai principi di “gattopardiana” memoria. Mi spiego meglio, se i tuoi precedenti dischi erano ricchi di alcolico spirito qui, ne troviamo altrettanto, ma di altra natura, ben più maturo. Battuta a parte che dici di questa mia chiave di lettura?

Al di là della questione alcolica che, tutto sommato, era un labile contorno all'ambientazione delle storie che raccontavo, penso che questo disco sia profondamente diverso dai precedenti, per tanti aspetti. Innanzitutto perché la scrittura dei quarant’anni è diversa da quella dei trenta e, così deve essere, se no ci sarebbe da preoccuparsi, perché la vita e i suoi avvenimenti influiscono ancora di più in maniera fondamentale, ci sono margini d'errore sempre più esili, le possibilità diminuiscono. La tendenza a guardarsi dentro è forte. Per quel che mi riguarda, ho quasi del tutto abbandonato lo stratagemma che mi consentiva di parlare di me attraverso le storie degli altri, ho iniziato semplicemente a raccontare in prima persona. Questo per quel che riguarda la scrittura. Poi c'è la musica, ovviamente.

Già, c'è la musica e ci sono gli Gnu, tanto che in copertina compaiono entrambe le componenti, quanto gli Gnu hanno influenzato musicalmente il disco che, diciamolo subito, è suonato da Dio.

Grazie, sono contento che ti piaccia.
Gli Gnu non sono stati semplicemente gli arrangiatori di questo disco, ma hanno rappresentato una parte fondamentale del progetto. Volevo che il loro modo di suonare influenzasse fortemente le mie canzoni, ma anche che le mie canzoni suggerissero loro spunti e pensieri. Non è stato un lavoro facile, per trovare la quadra giusta abbiamo impiegato tempo, fatica e sperimentazione. Mi piace dire che gli Gnu hanno preso le mie canzoni che nuotavano serene in un fiume e le hanno riportate al mare, anzi all'oceano.

Il disco, oltre che intitolarsi "Nella prossima vita", inizia proprio con la title-track, perché proprio questo titolo e questa scelta, non sono così comuni come potrebbe sembrare?

So di essere un po' anacronistico, ma sono ancora di quelli che vedono il disco come una specie di opera completa, con un inizio e una fine. So bene che la fruizione della musica è molto cambiata, le canzoni sono prese qua e là, decontestualizzate e sistemate in personali playlist. Quando però decido di mettere mano a un disco, per me esiste un'architettura definita in cui le canzoni tracciano un sentiero. "Nella prossima vita" è un concetto che, soprattutto negli ultimi anni, ho molto a cuore, anche in termini, come dire, metafisici, ma non solo. Circa tutto il disco è permeato da un senso di possibilità che vengono a mancare, più si va avanti negli anni meno tempo si ha per progetti nuovi o grandi cambiamenti. Mi piace pensare che ci sia una "prossima vita" per riuscire a colmare le lacune di questa.

Procediamo allora secondo progetto e, perché siamo in periodo elettorale, permettimi un’altra battuta, se con “Nella prossima vita” e i versi conclusivi “E al giudizio divino andrà assolto per legittimo impedimento” mi hai fatto subito pensare a Berlusconi, con i versi iniziali della seconda canzone “Vuoi” in cui canti “Vuoi le mie mani / vuoi il mio denaro” ho pensato ti riferissi a Monti, in realtà è una canzone con un tema più alto, pienamente nei solchi filosofici di questo disco no?

E' evidente che la frase sul "legittimo impedimento" sia di facile attribuzione. Monti invece non c'entra con "Vuoi" anche se, adesso che mi ci fai pensare, potrebbe essere un referente azzeccato. "Vuoi" è un piccolo sfogo nei confronti di tutti quelli che, intorno a te, per i motivi più vari, non esitano a chiederti qualcosa, dal semplice denaro, al tempo, all'essere come ti vorrebbero o vedrebbero loro, senza pensare, né a chi sei realmente, né, tantomeno a restituire nulla di quanto pretendono. Sono molte le persone di questo tipo.

In "Quando la sera verrà", una sorta d’intensa preghiera, si può dire che per ben cinque volte invochi il Signore, è forse un ravvedimento sulla via di Damasco? Ci sono molta spiritualità in questa canzone e altrettanta disperata umanità, sei d'accordo?

Si, hai ragione. Spiritualità e disperata umanità, come le definisci tu, sono aspetti presenti in questa canzone, ma anche in numerosi altri passaggi del disco. Non so sinceramente se si possa parlare di ravvedimento o d’illuminazione, sono sempre stato vicino al concetto di "preghiera", affascinato da molte iconografie religiose, suggestionato dal linguaggio biblico. In questa canzone c'è una preghiera sommessa, lancinante, sì, disperata. La preghiera come salvezza da uno stato di malessere che t’inghiotte nei suoi inferni.

Per cercare di uscire da questo stato di malessere, di dare una risposta a questa estenuante esigenza di spiritualità ci sono molti modi, in "Dimmi chi sei", mi sembra che tu voglia proprio riferirti a certi tipi di risposte "facili", è così?

“Dimmi chi sei" è una domanda facile, la cui risposta è invece molto complicata. A cominciare da me stesso naturalmente. Ho messo in versi un po' di esempi, affetti, conoscenze, che si sono manifestate ognuna con le proprie decine di sfumature e sfaccettature. Forse è davvero una domanda impossibile. Ecco, i luoghi oscuri delle persone sono un altro aspetto dell'esistenza che mi affascina molto. In "Dimmi chi sei" credo siano descritti diversi luoghi oscuri dell'animo umano.

Giunti a questo punto, mi permetto uno scarto sequenziale, vorrei unire in unico discorso due brani, il successivo "La stanza cinese" e "La neve nel bicchiere", perché mi sembrano rappresentare una nuova via orientaleggiante del Sirianni maturo, non dico solo musicalmente, ma soprattutto in senso filosofico e spirituale. Sono entrambi grandi pezzi, anzi "La neve nel bicchiere" penso sia in assoluto il pezzo più alto dell'intero disco, che mi dici?

Si tratta di due canzoni cui sono particolarmente affezionato. Intanto, musicalmente, vedono la presenza, oltre agli Gnu, di un pianista giovane e straordinario, Michele Di Toro, che ha dato a questi brani l'atmosfera perfetta.
"La stanza cinese" è qualcosa che sta a metà tra il sogno e l'incubo, un'attesa strana di qualcuno che forse non arriverà mai o addirittura non esiste, un fuoco purificatore che ammanta la stanza, il suo ospite e i suoi fantasmi.
"La neve nel bicchiere" è invece una canzone che segna un momento importante di cambiamento, di rinascita. Ho voluto ambientarla in una sorta di giardino giapponese di fine inverno, con i passi sulla neve e i primi fiori che sbocciano.
Amo moltissimo la musica orientale, una conoscenza che devo anche a una violinista giapponese molto brava, Mayumi Suzuki, con cui ho avuto il modo e la fortuna di collaborare.

Riprendendo il cammino, troviamo una canzone, "Nato sfasciato", che sembra voler interrompere un po' quest’aria seriosa del disco. E’ piena d'ironia già dal titolo che, può essere letto come condizione in fondo comune a chiunque stia per nascere e quindi non ancora in fasce, ma anche sfasciato nel senso di "sfigato" . Quell'"angelo usato" di "nome Pilato", oltre che idea geniale, mi sembra eloquente. Non incazzarti però, se ti dico che quando canti "Ma sono vivo, bevo e canto le canzoni ..." mi ricordi un po’ Vinicio ...

Non voglio parlare di Capossela o qualsivoglia ipotetico riferimento, argomento che trovo noiosissimo e inutile. "Nato sfasciato" è una canzone che sembra divertente, ma racconta il disincanto di una vita "normale" annegata nelle difficoltà quotidiane. Un personaggio "normale" che diventa patetico nel non sapere o volere affrontare i mostri che lo assediano, in forma di banche usuraie e assassine, datori di lavoro spietati. Si rifugia in una sorta di arroganza ingenua, parossistica, canta, beve, va a donne mentre la terra sotto i suoi piedi si sgretola e il suo angelo indifferente lo lascia affondare giorno dopo giorno.

A questo punto del disco c’è una breve traccia puramente strumentale a firma Edmondo Romano – Federico Sirianni, io non credo mai nella casualità degli eventi, perché hai voluto inserire questa traccia “senza parole”?

Perché a metà cammino avevo bisogno di un momento di respiro. “Sospesa”, magistralmente arrangiata e suonata da Edmondo con una dozzina di strumenti a fiato, ferma per un attimo un flusso di parole molto sostenuto, le fa sedimentare riprendendo il tema di “Nella prossima vita” come se fosse, appunto, sospeso. Per me è un passaggio molto importante del disco.

Si riprende con "La mia Madeleine", qui è invece l'amore a fare capolino, un incredibile bisogno d'amore, da stringere fra le braccia, è davvero difficile trovare una canzone sotto tono in questo disco, anche questa è tra le mie preferite ...

Sai, quando si pubblica un disco ogni quattro o cinque anni, si fa una buona scelta di materiale... In realtà "La mia Madeleine" è una canzone sul tema del ricordo. Ricordo che contempla ovviamente gli amori che sono transitati più o meno violentemente nell'esistenza. In questo pezzo, come in un altro paio, c'è la bellissima chitarra del grande Paolo Bonfanti. E' una canzone che ha i crismi della "ballad" americana, genere che amo moltissimo.

Quindi è più una canzone sulla nostalgia dell'amore, dell'amore passato?

Non solo sull'amore, anche su suggestioni più o meno lontane. Il ricordo di un pianoforte da una finestra in un pomeriggio estivo quando, da bambino, tenevo la mano a mia madre mentre si andava al mare, certi momenti da giovane universitario con davanti tutta un'esistenza di possibilità e poi, certo, la nostalgia di amori che porto tuttora con me, che mi hanno fatto male e cui ho fatto male, le lettere scritte ancora a mano e cose del genere.

E’ il momento di "Appollaiati stanno", storia di figure losche come avvoltoi che ci riportano al Sirianni più "classico" quello che ama il racconto, anche quando magari la storia che vai a raccontare ha poco di sereno, è così?

Si, è vero, "Appollaiati stanno" è una canzone un po' old style. Ci sono cascato di nuovo, dannazione! In realtà è una canzone d'amore, molto dura, ma di grande e disperato amore, un amore che porta il protagonista della storia a passare le notti tra i pusher peggiori della periferia torinese per procurare l'eroina alla sua donna in astinenza.

Per fortuna l'amore a volte assume un volto più rasserenante, quasi "puro" come quello cantato in "L'anima di Dio", brano tra i più gioiosi del disco senza dubbio. Quanto c'è di te nello spirito che aleggia in questo brano?

Tutto, c'è tutto di me. C'è il senso della meraviglia, dell'incanto, della grandezza dell'amore. A questo punto, però, ti faccio io una domanda a proposito di riferimenti. La struttura totale di questa canzone, arrangiamento e cori compresi, è un esplicito omaggio a un gigante della canzone d'autore, chiamiamola così. Chi?

Cohen?

Sai fare il tuo mestiere, amico mio!
Era tanto che volevo scrivere e cantare una canzone ispirata al vecchio grande Leonard, con gli archi, i cori e tutto il resto. E questa mi sembrava giusta. Che ne pensi?

La stavo riascoltando ora, stupenda, perché capace di affrontare tematiche profonde con squisita leggerezza, certo che dopo il tuo commento su di me è meglio chiudere qui, non vorrei rovinare tutto con le ultime due canzoni …

No, procedi pure che siamo quasi alla fine …

"Ondanomala", con le sue sonorità elettriche e dure e il suo testo un po’ apocalittico, mi sembra voglia affrontare il tema del castigo divino, un qualcosa che è certamente insito nella mente dell'uomo, che mi racconti di quest'”Ondanomala”, titolo che mi ricorda un po’ quello del tuo primo disco.

Il primo disco si chiamava “Onde clandestine” ma sai, per noi che arriviamo dal mare, le onde sono di casa.
In realtà in “Ondanomala” ho voluto mettermi nei panni di uno di quei predicatori da setta evangelica che, utilizzando il loro talento cialtronesco e imbonitore, truffano centinaia d’ingenui fedeli. Alcuni anni fa, quando tornavo a casa, la sera tardi, prima di addormentarmi, mi sintonizzavo su una televisione evangelica che trasmetteva le convention di un predicatore americano, Benny Hinn, mi sembra si chiamasse, straordinario nella sua cialtroneria. Si portava dietro l'orchestra, il coro gospel e, nelle prime file, alcuni suoi seguaci che si fingevano zoppi, storpi, gobbi. E lui a un certo punto li toccava e li guariva nel tripudio generale. Un genio del male. Giuro che se il mestiere di cantautore mi va definitivamente a rotoli faccio il predicatore!

Sono sicuro che sapresti convincere moltitudini di persone. In fondo, a rileggere gli ultimi versi della conclusiva “La rosa nel cielo”, quando canti “Non ci saranno più sguardi di stalattite / non ci saranno più vetri nell'acquavite / Quando vedremo che comincerà il disgelo / Quando spunterà una rosa nel cielo", mi sembra di scorgere già un qualcosa di profetico.

Sarebbe bello. E' una canzone di grande speranza. Purtroppo la quotidianità ci spinge sempre di più verso un cinismo cupo, un disincanto sempre più profondo, viviamo in un'epoca di straordinaria decadenza culturale e morale, la politica è una melma puzzolente e ributtante che si specchia nella propria vergogna, nella propria arroganza, dimenticando ogni minima idea di "valore". Ogni tanto capita di vedere una rosa nel cielo, e quel momento è importante goderselo fino in fondo, finché questa lunghissima notte non lasci campo a una stagione nuova.

Dopo queste parole di speranza potremmo anche chiudere qui quest'intervista in cui mi pare di aver sviscerato, anzi quasi sezionato in pezzi, il tuo disco. So però che il disco è arrivato alle stampe, anche grazie a un artista come Giangilberto Monti, che ho appena intervistato in occasione dell’uscita del suo “comicanti.it”, com'è nato questo vostro sodalizio artistico?

Si, qualche ringraziamento finale ci sta. Giangilberto aveva già prodotto il primo disco, ci siamo incontrati di nuovo ed è stato fondamentale, sia per quel che riguarda la produzione esecutiva, sia per alcuni suggerimenti artistici che hanno in diverse occasioni disincagliato la nave dagli scogli. Poi c'è Fabrizio Chiapello, il mio alter-ego di studio che mi ha seguito con affetto e pazienza per quasi tre anni nei miei sbandamenti, entusiasmi e momenti difficili e, oltre agli Gnu, tutti i musicisti che hanno suonato nel disco, con una menzione speciale per le percussioni del grande Vito Miccolis.
E poi c'è Egea, grazie cui il disco è nei negozi, e di questi tempi non è roba da poco.

Federico Sirianni