Aldo Rossi

La vite e la muart

Revisión
Publicado el 28/10/2011
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La vita e la morte non risparmiano nessuno

“Par fâ dal mâl baste nome un secont,
par fâ dal ben la vite di un om”
(Aldo Rossi - “A là su”)

(“Per fare del male basta solo un secondo
Per far del bene la vita di un uomo”)
(Aldo Rossi - “Lassù”)    

Se non esiste forse una scuola genovese legata alla canzone d’autore, ancor meno si può parlare di una scuola friulana, perché a mancare qui, è sicuramente un epigono, una guida cui fare riferimento.

E’ però innegabile che da questa terra di confine, spesso ancorata alla difficile vita di montagna, dove l’esistenza umana è fatta di sacrifici per strappare di che vivere a una terra difficile e avida, continuano a emergere figure di grande rilievo nell’ottica di quella canzone che definirei di qualità, se proprio non desideriamo utilizzare il termine “cantautorale” che vuol dire tutto e nulla e finisce per assumere un’accezione più negativa e limitativa, che positiva.

Così, dopo i nomi forse più noti di Luigi Maieron e Lino Straulino; ecco un’altra nuova figura emergente, Aldo Rossi che poi, tanto nuova alla musica non è, se annovera alle proprie spalle già tre album.

Come per i suoi colleghi, le sue canzoni nascono e sono pensate in “lengua furlana”, ma pur restando fedeli alla tradizione lessicale, trattano spesso temi universali. Anzi in questo disco si può dire che la tematica affrontata riguarda davvero tutti indistintamente e s’intuisce già dal titolo “La vite e la muart”, cioè “La vita e la morte”.

E’ un disco pensato e ripensato, tanto che a un certo punto sembrava che il progetto non dovesse neppure più andare in porto, invece, piano piano, il tutto ha preso forma e il materiale compositivo è stato così abbondante da andare a formare un doppio album, un disco A intitolato “La vite” e un disco B “La muart”, per un totale di venti tracce e poco più di un’ora di musica.

In questo duplice album, tutte le canzoni sono state pensate, scritte e musicate da Aldo Rossi ad eccezione delle tracce Jo mûr” (“Muoio”) che altro non è che la cover di “Just dance” di Lady Gaga; “Preiere di Nadâl” (“Preghiera di Natale”) il cui testo è una poesia di padre Toni Bellina, un sacerdote, scrittore, giornalista e traduttore italiano di lingua friulana scomparso nel 2007; “La balade dal Pizighet” (“La ballata del becchino”) che è una cover dei Mitili FLK (band friulana) e comprende una discussione avvenuta via e-mail con Guido Carrara, ex chitarrista del gruppo e autore del brano stesso; “La so puema” (“La sua ragazza”) un testo di Giorgio Ferigo, un medico, scrittore, storico, e musicista italiano anche lui scomparso nel 2007 e musicato da Aldo; infine “Si podès” (“Se potessi”) un suo adattamento in friulano della poesia “Istanti” di Jorge Luis Borges.

E’ ovviamente un disco di puro artigianato e per di più realizzato in piena autonomia, sia dal punto di vista produttivo sia da quello prettamente esecutivo, se si pensa che tutte le chitarre presenti sono state suonate da lui, così come da Aldo sono state realizzate le programmazioni dei computer di tutti gli strumenti utilizzati, eccezione fatta per l’esecuzione al pianoforte di “Preiere di Nadâl” a cura dell’autore stesso della musica di quel brano, ossia il pianista jazz friulano Rudy Fantin.

Il disco promette di volare alto:

La morte compie un fulmineo montaggio della nostra vita:

ossia sceglie i suoi momenti veramente significativi e li mette in successione

(…) solo grazie alla morte, la nostra vita ci serve ad esprimerci”

Questa è, infatti, la citazione di Pier Paolo Pasolini riportata in contro copertina da Aldo Rossi.

Mantiene però le promesse?

Cominciamo con il dire che i linguaggi musicali utilizzati da Aldo nell’affrontare i diversi temi sono quanto di più vario si possa immaginare, per cui si passa dal rock, al folk, alla ballade, alla beguine e così via. E’ ovvio che, così facendo, se da un certo punto vista si ottiene il vantaggio di rendere il disco più vario e piacevole, vista anche la difficoltà oggettiva dell’essere quasi totalmente cantato in lingua friulana, in compenso si finisce per rendere un po’ meno compatto l’intero progetto.

Personalmente, ad esempio, tra i due dischi preferisco il secondo, quello dedicato alla morte, più triste e malinconico, ma anche più umanamente comprensibile come lo è l’irrevocabilità della morte, proprio come avviene nell’affrontare ad esempio la Divina Commedia, dove ci si sente più vicini all’umanità relegata all’inferno che non a quella lontana, quasi asettica, del Paradiso.

Comunque del primo disco porrei l’accento almeno su “None” (“Nonna”) una bella e commovente ballata legata ai ricordi della propria infanzia “e i scjampavi / vie di corse a vai parce / mi pacavin / i fruz plui gancj e triscj di me / i mi poavi / e li tal to grim a pasave su dut” (“E io scappavo / Via di corsa a piangere se /Mi picchiavano / I ragazzi più grandi e cattivi di me / E mi appoggiavo / E nel tuo grembo passava subito tutto”).

Poi c’è la bellissima “Preiere di Nadâl” (“Preghiera di Natale”), con quel delicatissimo pianoforte che accarezza gli altrettanto teneri e sinceri versi che appartengono ancora una volta all’infanzia di tanti di noi.

Interessante direi anche l’ironica e spiritosa “La fine del mondo”, una delle poche in italiano, con quel suo testo così irriverente come realistico “ma questa sciagura mi rende contento / perché è molto democratica / povero o ricco in quel dato momento / se la strizzeranno uguale uguà”.

Più interessante senza dubbio il secondo disco, sin dalla prima traccia Ben vistide e petenade” (“Ben vestita e pettinata)” in cui al ritmo di un’apparentemente e spensierata beguine c’è presentata la morte La muart a è une femine sentade / ca spiete chi tu passis par di la / a è biele ben vistide e petenade / e a sà che prin o dopo si rivarà” (“La morte è una donna seduta / Che aspetta che si passi di la / È bella benvestita e pettinata / E sa che prima o poi si arriverà”).

Bella poi la lenta e sognante Plaçute Salon” (“Piazzetta Salon “), un tuffo di Aldo nel proprio passato, vissuto a Plan Darte, un brano semplice nella sua esecuzione, solo chitarra e voce, che però mira dritta al cuore dell’ascoltatore.

Ancor più bella la riflessione sull’al di là fatta nella dolcissima e ispirata “A là su” (“Lassù”), “No è migo vere / ch’a è grande cheste cjere, / se un toc di paradîs no ‘nd è. / Se par stâ in pâs, / spietìn l’eternitât, / dimi ce ch’i stoi a fâ ca jù” (“Non è mica vero / Che è grande questa terra / Se un pezzettino di paradiso non c’è / Se per stare in pace / Aspettiamo l’eternità / Dimmi cosa sto a fare quaggiù”).

Veramente toccante poi, la successiva “La so puema” (“La sua ragazza”), il cui testo di Giorgio Ferigo ci porta dentro la grande sofferenza di una donna che vive la sua vita nel ricordo del suo grande Amore. Una storia poi finita con il suicidio di lui e con lei incinta. Si sposerà, avrà altri figli, ma il pensiero sarà sempre e solo per quel ragazzo. Con sensi di colpa per il suicidio, ma anche di rabbia per come lui ha voluto chiudere tutto. Finale aperto direi, “Fasint l'ultin dai pins o lu ai sintût berghelâ / e pò o soi...lade” (“Facendo l’ultimo dei bambini l’ho sentito piangere e poi dopo … me ne sono andata”), che può assumere un duplice significato: la protagonista muore partorendo l'ultimo bambino o decide di andarsene dopo l'ultimo parto.

E’ invece dedicata a Beppino Englaro la breve ma sofferta, “Pari” (“Padre”), molto emozionanti i versi finali “Podarès jessi / Podarès sta / Chi no pôs diti / La me volontât / Ma nissun di miôr a la sa / Di cui cal è / Il gno papà” (“Potrebbe essere / Ci potrebbe stare / Che io non possa dirti / La mia volontà / Ma nessuno meglio la conosce / Di lui che è / Il mio papà”).

Chiude degnamente “Grant” (“Grande”), eseguita da Aldo dal vivo, solo voce e chitarra e dedicata, come l’intero lavoro, alla propria madre, con quei versi conclusivi “Chês roses curades cun tant amôr / Colôrs di une vite cun poc lusôrs / La fadie dal vivi par cressi tiei fîs / E tante fadie par la vie di chi” (“Quei fiori curati con tanto amore / Colori di una vita con poco chiarore / La fatica di vivere per crescere i tuoi figli / E tanta fatica per … riuscire ad andartene”), che racchiudono tutta la difficoltà del vivere e del morire, ma anche la consapevolezza di aver trasmesso amore ai propri figli.

Un amore direi ripagato anche attraverso questo bell’album, che è nato forse dal poco ma che vale tanto, così com’è anche la vita degli uomini di montagna che tanto devono lavorare e faticare per gioire del poco che riescono a raccogliere ma che, proprio per questo sanno, meglio cogliere la bellezza del vivere e la dignità del morire.

Aldo Rossi - La vite e la muart

Aldo Rossi

La vite e la muart

2Cd, 2011, Curte

Canciones:

    1
  • 1) Il gjaul
  • 2) Hasta Compañero
  • 3) Jo mûr
  • 4) Rampini
  • 5) None
  • 6) Preiere di Nadâl
  • 7) La balade dal Pizighet
  • 8) La fine del mondo
  • 9) 21 gr. (svuali vie)
  • 10) Ce biel
  • 2
  • 1) Ben vistide e petenade
  • 2) La me rosse
  • 3) Plaçute Salon
  • 4) A là sù
  • 5) La so puema
  • 6) Di un Pari
  • 7) Cjalde che sere (Il 6 di mai)
  • 8) Si podès
  • 9) Masse fazil
  • 10) Grant

Información tomada del disco

Crediti
Aldo Rossi: voce, chitarre, programmazioni
Rudy Fantin: pianoforte (6)

Tutte le canzoni sono di Aldo Rossi tranne che “Jo mûr” (cover di “Just dance” di Lady Gaga), “Preiere di Nadâl” (una poesia di Pre Toni Bellina con l’accompagnamento al pianoforte scritto e suonato dal maestro Rudy Fantin), “La balade dal Pizighet” (cover dei Mitili FLK con discussione filologico-musicale via e-mail con l’Argentina dove risiede Guido Carrara autore del brano), “La so puema” (testo di Giorgio Ferigo), “Si podès” (adattamento in Friulano di “Istanti” di J. L. Borges)

Registrazione e mastering a cura di Aldo Rossi

Le foto di copertina sono di Michele Ciussi

La grafica del cd è stata curata da Igor Tullio

Pensato, scritto e prodotto da Aldo Rossi tra gennaio 2009 e febbraio 2011

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