Mario Incudine
Anime migranti
Un affresco corale di grande fascino
“L'energia delle culture radicate nella profondità dei tempi e nei cammini dell'interiorità anche nel marasma della mediocrità sanno emergere e trovare voci e interpreti. Ascoltate Mario Incudine, il colore della sua voce, il suo stile interpretativo, il suo gesto vocale, condensano e distillano per noi l'arte e il sapere di una tradizione, la forza di una cultura, i suoni esplodenti colori di una lingua che trasuda umori, colori, ironie, il privilegio di contaminazioni antiche di una terra di accoglienza, solare e tragica, ricca di umanità travagliata, consumata dalle fatiche, dispersa negli esili, esiliata nelle sue masserie. Mario trasmette, reinventa e ricrea. Il cunto nella sua bocca e nei suoi segni espressivi ti fa saltare sulla sedia, ti fa partecipe di vicende secolari, ti diverte ti destabilizza, perché Mario nel suo essere hic et nunc, è antico e contemporaneo, giovane e vecchio, con lui siamo nel passato, nel presente e nel futuro, ma non solo noi, lo è l'eredità di cui siamo collettivamente ed individualmente responsabili”
E’ Moni Ovadia a invocare l’ascolto di Mario Incudine tramite queste belle parole tratte dal libretto che accompagna “Anime migranti”, il nuovo disco di questo giovane artista di Enna che a soli trent’anni s’è già cimentato nelle vesti di cantante, attore, ricercatore, musicista e autore di colonne sonore, sempre con ottimi risultati.
Proprio come nel caso di questo gran bel disco che ruota intorno ad un tema di grandissima attualità come quello delle migrazioni, sviluppato attraverso un vero e proprio affresco corale che vede coinvolti tante voci preziose come quelle di Alessandro Haber, Mario Venuti, Edoardo De Angelis, Nino Frassica, Salvatore Bonafede, Faisal Taher, Lello Analfino, Anita Vitale, Kaballà, i Djeli D’Afrique, impressionante anche la miriade di strumenti utilizzati (tanti esotici) e i relativi strumentisti coinvolti nel progetto.
Non è certo però la quantità ma la qualità dell’opera a colpire sin dalle prime note, da quel punto di partenza sia musicale sia geografico costituito da “Salina”, il brano con cui Mario ha vinto il Festival della nuova canzone siciliana con quel “S’ un pozzu iri avanti / un mi mannati arreri / lassatimi muriri ammenz o mari”, capace di condensare tutta la disperazione di coloro per cui “L’Italia è un pensiero costante, che attraversa la corrispondenza e conduce a un finale imprevedibile, perché certi legami quando si spezzano, ti diventano spasmo nelle viscere” come scrive lo stesso Incudine nella sua breve nota introduttiva all’intero lavoro. Musicalmente affascinati le influenze orientaleggianti che emergono verso la fine brano.
Note liquide di pianoforte accompagnano invece la calda voce di Mario mentre recita intensi versi tratti da “Solo Andata, righe che vanno troppo spesso a capo” di Erri De Luca “Da giorni prima di vederlo il mare era un odore / un sudore salato / ognuno immaginava di che forma. / Sarà una mezzaluna coricata, / sarà come il tappeto di preghiera / sarà come i capelli di mia madre” e, dopo una bellissima e commovente melodia eseguita al pianoforte da Antonio Vasta (co-produttore artistico del disco) e dai violini di Giuseppe Cusumano, ancora toccanti versi “Non fu il mare a raccoglierci, / noi raccogliemmo il mare a braccia aperte / solo il primo ha l’obbligo di sollevare gli occhi, / gli altri seguono il tallone che precede, / il viaggio è una pista di schiene”. Commovente questa “Sottomare”.
Melodica e più legata alla tradizione popolare è “Novumunnu” che vede la partecipazione di Kaballà in veste sia d’autore sia di co-interprete di questo brano che è un canto sul vivo sogno d’America di tanti nostri migranti. Le voci sullo sfondo, quasi un dolce lamento, sono affidate all’Omnia Beat Gospel projet.
Dopo una tenera “Tenimi l’occhi aperti” che vede anche la presenza dell’Orchestra di Puglia e Basilicata diretta da Valter Sivilotti, ecco uno dei momenti più intensi dell’intero lavoro che vede la presenza efficace delle voci di Anita Vitale e di Mario Venuti, “Namenàme” è un pezzo pregno di echi africani evocati dal corno tunisino di Antonio Putzu, la voce e le percussioni africane di Alain Victor Mutwe, la voce e le congas di Samuel Kwaku Gyamfi, è il canto dell’abbandono di tutto ciò che fino quel momento era familiare per un futuro senza certezze “Lassamu u cori ccà chiantatu nterra / lu cori di cu un jornu ebbi a scappari / e ora stavi accussi … tira a campari”.
Molto bello è anche il canto a due voci, quella di Mario e di Edoardo De Angelis e due lingue, il dialetto ennese e l’italiano, del brano “Speranza disperata” che vede, in una sinergia di contributi, anche la presenza dell’Orchestra “Canzoni di confine” proveniente dal lontano Friuli. Fanno riflettere i bei versi finali “Quello che fa più male / in fondo a questa storia / è assistere al silenzio / al silenzio della memoria” giusto prima di quel lungo finale d’archi, qui determinanti e ancora una volta diretti da Valter Sivilotti.
Giocata sulle percussioni e il controcanto delle chitarre elettriche, con le voci di Mario, Giancarlo Guerrieri e Max Bosa che si alternano, “Sempri ccà’” è una canzone trascinante, dai colori decisamente mediterranei che ci parla dell’immutabile quotidianità “Nta stà vanedda di stu tò paisi / unni restu cca fora senza pritisi, / c’è tuttu chiddu ca mi fici cristianu / e ci si tu ca mi facisti celu”.
Intensa, poetica, è “Lu trenu di lu suli”, un testo di Ignazio Buttitta musicato da Mario e suonato dal solo violoncello di Redi Hasa, dedicato all’immensa tragedia belga della miniera di Marcinelle che l’8 agosto 1856 vide tra le 262 vittime molti siciliani. E’ un pezzo che trasuda dolore passo passo, partendo da quell’abisso creatosi all’arrivo della notizia della tragica morte di tanti connazionali.
In “Terra”, c’è ancora un dialogo tra lingue distanti, qui la voce di Mario si alterna con il canto arabo del palestinese Faisal Taher, la musica è sorretta dal solo pianoforte di Salvatore Bonafede ma c’è come un senso di pienezza che appaga l’ascoltatore. Trovo sia uno dei passaggi più belli del disco, con la musica che si fa protagonista anche del testo “Musica ca s’arriviglia a matinata / ca cu a senti mancu si la scorda / pirchì è la musica di sta terra surda / ca di tant’anni un cangia / è sempri chidda”.
Non ci sono proprio mai cali di tensione, battute a vuoto, in questo disco, basta ascoltare la successiva “Sotto un velo di sabbia” per rendersene conto. E’ una canzone mesta, in cui si alternano il canto in italiano di Alessandro Haber e quello in dialetto di Mario, intercalati dal recitato in etiope dell’attrice Caterina De Regibus fino a giungere a questi versi finali recitati da Haber “Lascio il mio amore corda di violino / lascio il mio cuore pelle di tamburo / lascio la mia rete senza più esche / resto sotto un velo di sabbia / divorato dalle mosche”, chiude un finale arabeggiante, pieno di violini che si stagliano su un fondale d’ipnotiche percussioni.
Con “Strati di paci” si cambia sicuramente passo, è una danza che ha tutta la vitalità del sud sin dalla vivace partenza con la fisarmonica di Antonio Vasta, cui subentrano chitarre e percussioni quasi a invitare l’ascoltatore a un collettivo ballo, a una fratellanza che porti pace “e nni fa ricurdari quantu su nnutuli / li mali paroli si c’è l’omu c’aiua autru omu / e lu frati c’abbbrazza lu frati / sunnu belli li strati sunnu belli li strati / c’è bisognu di l’omu ch’aiuta autru omu / e dun frati ch’abbrazza li frati / c’è bisognu di paci c’è bisognu di paci”, come cantano anche i bambini del Coro “Hator” del I circolo didattico di Vittoria (RG).
Dopo tanta energia c’è quasi bisogno di congedarsi con un brano lento e riflessivo come “Lu tempu è ventu”, costruito su un intreccio tra gli arpeggi della chitarra classica di Massimo Germini e il suadente violoncello di Paolo Pellegrino, il canto si chiude così “Ogni cosa lassata è cosa pirduta / lassu lì me muddichi nta la tò strata / si t’arrivigghi, mannami na vasata / pigghia li muddicheddi e cangia vita”.
Difficile davvero trovare un appiglio per una critica negativa a questo bellissimo progetto che vede Mario Incudine nel ruolo di regista, autore della maggior parte dei testi e delle musiche, valido interprete dei suoi pezzi con l’aiuto di un gran numero di ospiti coinvolti, tanto che questo lavoro già nel titolo sembra assume un valore corale, una condivisione d’intenti, una sinergia capace di produrre risultati sorprendenti.
Un difetto? La mancanza, nel libretto che accompagna il disco delle traduzioni dei testi che, per chi come il sottoscritto non è siciliano, comporta una difficoltà interpretativa a volte molto ostica.
Mi sembra davvero poco, confrontato alla bellezza dell’intero disco, ascoltatelo con il cuore vi si aprirà un mondo musicale d’incredibile fascino.
Mario Incudine
Anime migranti
Traks:
- 1) Salina
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2)
Sottomare feat Nino Frassica
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3)
Novumunnu feat Kaballà
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4)
Tenimi l’occhi aperti feat Vincenzo Mancuso e Valter Sivilotti
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5)
Namenàme feta Mario Venuti e Anita Vitale
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6)
Speranza disperata feat Edoardo De Angelis
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7)
Sempri ccà feat Giancarlo Guerrieri e Max Busa
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8)
Lu trenu di lu suli feat Redi Hasa
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9)
Terra feat Salvatore Bonafede e Faisal Taner
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10)
Sotto un velo di sabbia feat Alessandro Haber
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11)
Strati di paci feat Lello Analfino
- 12) Lu tempi è ventu
Information taken from the record
Mario Incudine: voce, chitarre acustiche (1, 5, 6, 7, 11), tzouras (1), voce recitante (2), chitarra battente (6), chitarra classica (10)
Mariangela Vacanti: cori (1)
Franco Barbarino: chitarre (1), laud (1), tzouras (5), bouzouki (11)
Antonio Vasta: fisarmonica (1, 2, 3, 6, 11), zampogna “a paru” (1), pianoforte (2, 6)
Antonio Putzu: corno tunisino (1, 5, 6), flauto sopranino (6), duduk (10), clarinetto (11), flauto di canna (11)
Angelo Scelfo: basso (1)
Davide Campisi: cajon (1)
Salvo Compagno: percussioni (1), shaker (3), tammorra muta (3), cassa (5, 11), djembè (5, 11), congas (5), shaker (5), tamburelli (5), cajon (6), riq (6, 10, 11), surdo (6), piatti (6, 11), daf (10), sonagli marocchini (10), darbouka (10), ocean drum (11)
Giuseppe Cusumano: I violino (2), II violino (2)
Adelaide Filippone: viola (2)
Paolo Pellegrino: violoncello (2, 12)
Kaballà: voce (3)
Mario Saraglia: tastiere (3), programmazioni (3)
Omnia Beat Gospel project: cori (3)
Massimo Germini: chitarra classica (3, 12)
Vincenzo Mancuso: chitarre acustiche (4)
Valter Sivilotti: direzione orchestra (4), arrangiamento archi (4), direzione archi (6)
Anita Vitale: voce (5, 6)
Mario Venuti: voce (5)
Alain Victor Mutwe: voce (5), percussioni africane (5)
Samuel Kwaku Gyamfi: voce (5), congas (5)
Mario Tarsilla: basso (5)
Edoardo De Angelis: voce (6)
Pino Ricosta: basso (6, 7, 11)
Orchestra “Canzoni di confine” (Friuli): (6)
Emanuele Rinella: batteria (7)
Placido Salomone: chitarre elettriche (7)
Totò Orlando: tammorra (7), percussioni (7)
Giancarlo Guerrieri: voce (7)
Max Bosa: voce (7)
Redi Hasa: violoncello (8)
Faisal Taher: voce (9)
Salvatore Bonafede: pianoforte (9)
Alessandro Haber: voce (10)
Caterina De Regibus: voce recitante (10)
Ivan Pietro Greco: I violino (10)
Giancarlo Renzi: II violino (10)
Paolo Lombardo: viola (10)
Sonia Giacalone: violoncello (10)
Lello Analfino: voce (11)
Coro “Hator” del I circolo didattico di Vittoria (RG): (11)
Cinzia Spina: direzione coro (11)
Produzione: Mario Incudine, Arturo Morano per Finisterre
Produzione artistica: Mario Incudine, Antonio Vasta per Finisterre
Produzione esecutiva: Pietro Carfi, Raffaele Pinelli per Finisterre
Registrazioni: Andre Ensabella presso AS Studio Project (Enna), Antonio Zarcone presso lab Music (Palermo), Leonardo Bruno presso Altaquota Studio (Petralia Soprana – PA), Mario Saroglia presso Omnia Beat Studio (Milano)
Missaggio: Andrea Ensabella presso AS Studio Project (Enna)
Mastering: Paolo Mauri presso Omnia Beat Studio (Milano)
Grafica e fotografie: Charley Fazio www.charleyfazio.it