Dyve

Formatisi nel 2001, i Dyve, sono una band di heavy metal con alcune influenze prettamente speed/thrash che a volte abbracciano anche uno stile che risente tanto del power americano ani 80. Un bel mix insomma, ma il tutto solidamente ancorato alle origini del genere e suonato con passione. Inside è la seconda fatica discografica del gruppo, dopo il debutto del 2004 Dust of an Age. Esso ci presenta il gruppo comasco in gran forma e con pronti ben dodici pezzi potenti, sopportati da una produzione all’altezza che esalta il poderoso lavoro delle chitarre.

Dopo una breve introduzione, Addiction ci propone un bel mix di cavalcate thrash metal e aperture melodiche di classico power metal. Alcuni riffs a sostenere i mid-paced tempo si fanno notare per la loro impronta groove e la voce del cantante muta a seconda dello stile che la canzone abbraccia. La sua tonalità si fa più grintosa (ma sempre pulita) per le partiture thrash mentre più melodica quando la melodia prende il sopravvento. Anche la fase solista abbraccia più stili, anch’essi o thrash o più propriamente power. La tecnica dei musicisti è indiscutibile a basta ascoltare due minuti di una qualsiasi canzone su quest’album per poterlo capire. Le fasi soliste sono curatissime ed eseguite con molta pulizia mentre la sezione ritmica segna il tempo come un metronomo.

Nessuna canzone è completamente votata all’assalto sonoro o alla melodia. Esiste sempre una perfetta via di mezzo tra i due stili, con aperture delle tastiere a dare un’impronta progressive o ricadute nel thrash con un ottimo lavoro della doppia cassa. È, per esempio, il caso di Real World. Il mood è sovente oscuro e non disteso e modaiolo come quello dei più classici dischi power europei. Il riffing massiccio e di chiara derivazione hard-rock di Shining On mostra la band che si destreggia abilmente anche attraverso tempi medi senza per questo perdere grinta. Ottime le linee melodiche durante il refrain a donare un ottimo tocco epico, senza dimenticare le aperture arpeggiate di buona fattura. Lo stacco quasi jazz ad annunciare l’assolo in una canzone power del calibro di Dreams ha qualcosa di incredibile per perizia tecnica. A tratti i Dyve mi ricordano molto un gruppo storico del panorama metal italiano: i Crying Steel.

I tempi rallentati di Strange Feelings lasciano trasparire un ottimo tessuto chitarristico, specialmente durante il refrain e sovente mi è sembrato di scorgere influenze dei migliori Iron Maiden, quelli in particolare di metà/fine anni 80. Si cambia registro col groove e un pizzico di thrash per Blood Desire, oppure per la ballad malinconica Waiting. Blows Your Mind riporta la grinta power/speed dopo la parentesi più melodica in precedenza. Ottimo il chorus dal piglio molto cathy e ottima anche la prova vocale del singer, capace di raggiungere buoni picchi in tonalità senza risultare pacchiano ed eccessivo. Il tutto sempre legato ad una concezione molto anni 80 del genere, quindi mai esagerata. L’ottimo lavoro della chitarra in fase solista e arpeggiata dona un tocco del tutto particolare e sognante ad una lunga Emotions (In the Wind), la quale mostra anche una spiccata voglia di lanciarsi su territori groove per quanto riguarda il riffing sui tempi medi.

Si finisce con la influenze più moderne e groove con un tocco melodico di You Make me Feel Better e il ritorno di alcune sezioni più prog di una veloce Fear of What We Are Not. Nonostante la lunga durata del disco, i Dyve riescono ad essere sempre convincenti grazie al loro sapiente mix di influenze e alla loro grande perizia tecnica. Le canzoni non sono mai monotone e, anzi, pregne di cambi di tempo e fasi soliste arrembanti. Che sia il disco della definitiva consacrazione?