Alessio Lega e Rocco Marchi

E ti chiamaron matta

Review
Posted on 01/09/2008
Vote: 9/10

E ti chiamaron matta: piccolo ma grande grande grande.

C’è chi si sveglia con accanto nel letto una donna stupenda, c’è chi si sogna solamente di trascorrere una notte d’amore con una donna stupenda, c’è chi come me si sogna di aver trascorso una magnifica serata a chiacchierare con Alessio Lega in una non identificabile trattoria di Milano e di svegliarsi poi la mattina con testa la musica e le parole di “Ti ricordi Nina”.

Sinceramente non ricordo di cosa abbiamo parlato Alessio ed io in questo mio originalissimo sogno, forse di musica, forse di politica anche se qui io e lui ci troviamo su posizioni distanti o forse, più semplicemente, gli ho espresso quanto non gli avevo detto qualche giorno prima quando, appena ascoltato il suo nuovo disco, ho avvertito l’urgenza di telefonargli per esprimergli i miei apprezzamenti per il rifacimento del piccolo urgente disco capolavoro dello psichiatra/cantautore Gianni Nebbiosi che è così tornato disponibile dopo 37 anni dall’originale incisione.

A condividere questo progetto ha avuto accanto Rocco Marchi, al quale bisogna rendere merito per aver saputo dare al disco una veste musicale affascinante e tale da non renderlo tedioso perché, visto l’argomento trattato, il rischio di fare un disco pesante come un macigno ci sarebbe potuto essere.

Il disco è stato inciso in occasione dei trent’anni dalla Legge Basaglia, quella che ha cercato di superare la realtà manicomiale come si evince da una testimonianza del 1968 dello stesso Basaglia riportata nella custodia del disco “La realtà manicomiale è stata superata e non si sa quale potrà essere il passo successivo. Come non risalire dall’escluso all’escludente? O si è complici, o si agisce e si distrugge.”.

Unica pecca è forse quella della mancanza di un libretto con i testi delle canzoni, oltre al citato intervento di Basaglia troviamo, però una breve lettera in cui Gianni Nebbiosi ringrazia Alessio così: “Ti ringrazio davvero di cuore di aver dato voce, attraverso le mie canzoni, a queste storie e ai loro protagonisti: persone che cercavano - e cercano – solo di essere ascoltate e comprese” ed in cui racconta che la ragione che l’ha portato a scrivere canzoni all’inizio degli anni settanta sta tutta in questi versi di Pasolini “La morte non è nel potere comunicare ma nel non poter più essere compresi”.

Dopo questo lungo preambolo, necessario però ad inquadrare la particolarità di questo mini capolavoro, dura, infatti, appena 18 minuti, ecco le canzoni.

In un anno e piu’ d’amore
Splendida canzone d’amore che si apre con immensa delicatezza per chiudersi allo stesso modo, bellissimo il testo che voglio riportare per intero perché merita “In un anno e più d’amore c’è per forza qualche errore / ma la cosa che interessa è che tu non sei la stessa / sei cambiata piano piano per venirmi più vicino / in un anno e più di fatti c’è da correr come matti / cambiano in continuazione prospettiva ed occasione / ed è triste dire poi chi non cambia siamo noi / in un anno e più di lotte quante volte ci si fotte / per paura di sbagliare stiamo sempre ad aspettare / ma non è la perfezione che concima l’invenzione / e benvenuto sia l’errore quando attesta il nostro amore / se trattassimo la piazza come fosse una ragazza / di rapporti puri e belli ce ne abbiam sopra i capelli / in un anno e più d’amore può venire un malumore / però proprio quando sbagli sento che mi rassomigli / cosa vuoi che me ne importi di saperti senza torti”.

Il numero d’appello
E’ decisamente greve e drammatica, ma come non esserlo con un testo che recita “Quando nel cercare di farsi capire vide la gente voltarsi / come se non dovesse capirlo più / quando lo legarono alla barella che era caduto in catena / gridando basta basta per carità / lui s’accorse tutto ad un tratto di esser diventato matto / ed una porta gli si apriva e la mente gli fuggiva / quando vide le facce dei dottori chinate a fargli domande / che erano parole vuote di un’altra realtà / quando lo calmarono con le scosse ché gridava e piangeva / rivoglio i miei vestiti la mia libertà”.

E qualcuno poi disse
Bellissima canzone con musica ridotta all’osso, sullo struggente amore tra “l’agitato” e la sua compagna, amore che porta il protagonista a soffocare la propria natura pur di rivedere gli occhi dell’amata e poter giocare con la figlia, salvo poi ricadere nelle stesse crisi “quella sera ricordo tu dormivi al mio fianco / e la stanza girava e di colpo fui stanco / furon sempre le stesse facce a legare questo mio male / e la stessa iniezione nel braccio a portarmi in ospedale / con lo stesso soffitto imbiancato con gli stessi scarabocchi / dove ormai la paura e il silenzio nascondevano i tuoi occhi / e qualcuno poi disse guarda lì l’agitato / sono passati otto giorni e c’è già ricascato”.

Ti ricordi nina
Percussioni e chitarra elettrica aprono questa canzone fatta di quadri stagionali, lenta nell’incedere, ma magnetica, ne riporto integralmente il testo perché penso sia stupendo ed emblematico “Ti ricordi Nina il vecchio girotondo nella campagna chiara di mezza primavera / per far crescere il grano pregavi un dio lontano un dio che non si paga e ti chiamaron maga / Ti ricordi Nina quando arrivò l’estate il tuo parlar col cielo con l’erba e con il melo / il tuo gridare ai lampi il tuo fuggir nei campi quando la notte canta e ti chiamaron santa / Ti ricordi Nina l’arrivare dell’inverno le case erano tane per spartirsi la fame e tu stavi in mezzo al gelo / e bestemmiavi il cielo con gli occhi di chi prega e ti chiamaron strega / Ti ricordi Nina il medico di paese venuto da lontano con il suo camice bianco ed un sorriso stanco inutile e tagliente / come la vecchia latta e ti chiamaron matta, e ti chiamaron matta”.

Ballata dell’alcolizzato
E’ una canzone a due voci, corale, come le canzoni d’osteria di altri tempi, ma gli argomenti cantati non sono quelli goliardici, bensì narrano la tragedia di un uomo che si ritrova rinchiuso al manicomio, solo perché è alcolizzato ed è quindi di disturbo sia sul lavoro sia a casa “Chissà se l’infermiere che sta qui di notte si è mai chiesto perché siamo finiti qui al reparto 3, chissà se ha mai pensato che i nostri cervelli di alcool imbotti hanno il coraggio di essere impazziti chissà che cosa ne pensa di questa pazzia lui che è quasi un signore con il cervello che impazzisce ad ore”.

Emigrato su in Germania
Anche qui ne riporto integralmente il magistrale testo.
“Emigrato su in Germania sento il cuore che mi smania / sento estranee cose e gente che alla fine anche la mente è finito in ospedale per sta malattia mentale c’ho trovato con stupore un che parla da signore / e racconta certi fatti di romanzi e di ritratti / di poeti e di persone di cui non conosco il nome / io gli parlo di cantieri e dei miei troppi mestieri / di sudore di fatica cose che non le sa mica / ma ci stiamo ad ascoltare e ci sembra di imparare / il perché siam stati esclusi il perché ci hanno rinchiusi / e così l’altra mattina quando han fatto la strozzina / e han picchiato a più non posso un che si è pisciato addosso / noi ci siamo guardati in viso e poi dopo / all’improvviso non più servi né stranieri fummo addosso agli infermieri”.
Lenta ed epica, par quasi sospesa nella attesa di quello sfogo finale che poi arriverà, fino a quel silenzio appena terminato il verso finale, la musica cessa all’improvviso ed il vuoto lasciato mi si insinua nelle pieghe del cuore, è come se volessi schierarmi anch’io in prima persona accanto ai protagonisti di questo gesto liberatorio ma resta invece tutto il dramma di questa e delle altre vicende umane, i cui protagonisti sono vittime solo della nostra incomprensione e della nostra indifferenza.

Alessio Lega si rivela ancora una volta un grande interprete di canzoni di altri, sa appropriarsene e farsene carico con grande maestria per raggiungere vette di eccellenza in canzoni come quest’ultima in cui il gesto di rivolta sentito cantare da lui assume una duplice valenza umana e politica.

Rocco Marchi da par suo, più che in altre occasioni si è dimostrato capace di rendere drammaticità al cantato senza però aggiungere inutili pesantezze ed orpelli eccentrici o barocchi.

Un disco piccolo piccolo per durata ma eccezionalmente grande per intensità.

Alessio Lega e Rocco Marchi - E ti chiamaron matta

Alessio Lega e Rocco Marchi

E ti chiamaron matta

Cd, 2008, Nota

Traks:

  • 1) In un anno e piu’ d’amore
  • 2) Il numero d’appello
  • 3) E qualcuno poi disse
  • 4) Ti ricordi nina
  • 5) Ballata dell’alcolizzato
  • 6) Emigrato su in germania

Information taken from the record

Con
Francesca Baccolini: basso elettrico (2, 4, 5)
Lorenzo Valera: voce (1, 2, 5)

Registrato e mixato da: Max Ficare al SilverLining Studio, Milano
Masterizzato da: Paolo Mauri per pma0db, Milano
Produzione artistica: Rocco Marchi
Produzione esecutiva: Valter Colle
Progetto grafico: Stefano Pallavisini, Ekostudio

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Members

Alessio Lega: voce, chitarra classica
Rocco Marchi: chitarre, basso elettrico, armonium, diamonica, glockenspiel, percussioni