Una sagoma spunta dal buio del dietro le quinte. Passo corto, rapido a mangiarsi letteralmente la breve distanza che lo separa dal suo strumento preferito e un saluto appena accennato con la mano. Quella voglia di sedersi precocemente al pianoforte nasconde in realtà tutta la concentrazione e la tensione per la serata. Stati d’animo che vengono enfatizzati dai piedi, che nervosamente schiacciano i pedali, dalla testa ciondolante assorta nei propri pensieri, dallo sguardo con gli occhi socchiusi; mentre le dita scorrono veloci sulla tastiera. Questa scena iniziale è lo specchio di un canovaccio scritto da tempo, ma che all’apertura di un nuovo spettacolo si riempie giocoforza della sua componente emotiva. Si modella, si gonfia e si sgonfia. Si plasma, ogni volta, sull’onda umorale del suo one man band. Un artista voglioso di partire e dare al pubblico la prima nota, la prima sferzata, la prima conferma a se stesso, come un normalissimo ragazzino cui preme rompere il ghiaccio nel rispondere alla prima domanda dell’esame di maturità. Sì, perché Rufus Wainwright è uno splendido ragazzino di quarant’anni. Stessa emozione, stessa genuinità e timidezza mal celata. Una serata per un concerto che si dimostrerà vero fino in fondo con le sue pause, le sue piccole umane imperfezioni, ma soprattutto con il suo grande carattere. Quello che esce alla distanza è il talento tanto puro quanto inconsapevole, che ti tiene sulla corda anche quando fa capolino un po’ di stanchezza, che ti fa innamorare e intimidire anche quando non distingui più la canzone.
In tutto questo lasso di tempo non passano più di dieci secondi, dopodiché il protagonista della serata inizia lo show che lo porterà a incantare per oltre cento minuti la platea del Teatro Grande di Brescia. Perché Rufus non fa per nulla pesare tutto il suo curriculum fatto di titoli, nomination, collaborazioni artistiche prestigiose (Elton John, Lou Reed, Shirley Bassey, Antony, David Byrne, Joni Mitchell, Boy George, Robert Wilson, Mark Ronson). E’ naturale come l’acqua, sorridente come un mormone, generoso e maniacale nella cura del particolare come fosse la prima volta, nonostante i dieci album alle spalle. L’ultimo di questi è Vibrate: The Best Of, titolo che dà il nome all’intero live tour del cantautore canadese.
Lo scenario che fa da sfondo alla prima tappa italiana della tournée è in linea con l’eleganza barocca ma raffinata e di sostanza del suo matador: una sinfonia cromatica e di stili, dove prevalgono i legni, i velluti rossi dei palchi e gli stucchi dorati della struttura architettonica per una scenografia dai caratteri neoclassici (vedi gli esterni del Teatro), rococò e neobarocchi. Rufus anche per questa sera ha un inappuntabile look da new dandy, coerente per l’esibizione, ma decisamente sobrio.
Nota a margine: c’è anche un prequel a tutto questo con l’esibizione per un’oretta scarsa della sorella Lucy personaggio entrato in punta di piedi e rivelatosi alla fine elemento perfetto per integrare il fratello nel corso dello spettacolo. Azzeccata la scelta di far sciogliere un minimo l’atmosfera con la cover Hungry Heart di Bruce Springsteen, cantata insieme al pubblico.
Ore 22,00 circa: Rufus prende subito il toro per le corna e, dopo un’arrembante esecuzione di Grey Gardens, comincia a sciorinare brani come fossero piatti caldi, uno dopo l’altro, da degustare tutto di un fiato. Guai a destarsi dalla trance agonistica che coinvolge una sala in totale raccoglimento. Lui, nonostante tutto, è fondamentalmente un timido e non c’è niente di meglio che confessarlo liberamente. Essere un po’ nervoso (inteso come teso ed emozionato), come lui ammette candidamente in apertura di concerto, è quanto di più onesto possa offrire alla sua platea in quel momento. Ma Wainwright ha soprattutto l’umiltà del personaggio di spessore. A sorreggere lui e lo spettacolo basta davvero la sua splendida voce! Ovviamente per un orecchio attento c’è molto di più: sensibilità artistica istrionica e formazione musicale classica per un approccio sonoro davvero unico nel suo genere. Ne è riprova l’accenno alla sua prossima opera commissionata dall’Opera di Toronto, (dopo il debutto nel 2009 a New York e Manchester con“Prima Donna”, che l’ha visto protagonista sia alla scrittura, sia alla direzione) che sarà presentata nel 2018.
Pezzi come Poses, Dinner at Eight o Me and Liza sono un esempio della nuova avanguardia chamber pop sempre sul filo fra tradizione e innovazione, tra classico e moderno; oltre che un’occasione di festa in famiglia. A dire il vero dove non arriva a illuminare il talento vocale di Rufus, provvede lo spirito coinvolgente della già citata sorella Lucy Wainwright Roche a tenere alta l’attenzione. Lui si divide sapientemente tra un accompagnamento da camera al pianoforte e uno folk alla chitarra acustica lei spezza, con il suo umorismo e capacità vocale, l’aria malinconica e di stupore ormai al culmine della serata. Sì, perché le performances del fratello non hanno bisogno delle parole per creare pathos. Non occorre essere profondi conoscitori dell’inglese per essere risucchiati in quel mutismo contemplativo della platea. La musica, questa musica trabocca sempre di vita, di speranza e di verità. A volte anche inconfessabili come in Going to a Town pezzo struggente ed elegante dall’andamento discendente o come in The Art Teacher irresistibile nel suo incedere impetuoso e colmo di passione. Ma prima ancora una versione di Candles a capella strappa forse l’applauso più lungo di tutta la serata. Non può mancare dalla scaletta la cover Alleluia di Leonard Cohen già interpretata a suo tempo da Jeff Buckley e qui riproposta da Rufus in maniera impeccabile.
Alla fine il Teatro non può che spellarsi le mani sulle note più famose di Cigarettes and Chocolate milk, pezzo dall’estetica edonista, che parrebbe scritto da un maestro quale Oscar Wilde. Con questo brano sembra essere giunti davvero alla fine a metà tra l’operetta e il swing, dopo aver toccato gli apici di un artista che dice grazie alla sua passione per l’opera lirica. A conti fatti è il pubblico che non vuole più dividersi dal suo cantore: come in un lungo abbraccio il nostro Americano a Brescia si concede altri due bis tra cui la splendida e un po’ newyorkese Foolish Love per dire che lui ama l’Italia veramente, nonostante tutto.
(Probabile … se mi sostiene la memoria) Setlist :
Grey Gardens
The Maker Makes
Vibrate
Out of the Game
Jericho
Dinner at Eight
Argentina
Friendship
Les feux d'artifice t'appellent
Me And Liza
April Fools
Gay Messiah
Candles (a capella)
Going to a Town
I Don't Know What It Is
Cigarettes and Chocolate Milk
Encore:
The Art Teacher
Pretty Things
Hallelujah (Leonard Cohen cover)
Poses
Encore 2:
Foolish Love