Eurovision Song Contest 2023

Pubblicato il 10/05/2023 - Last updated: 21/05/2023

Topic: Musica

Eurovision, Prima Semifinale: trionfa lo spettacolo, male le ballad, attenzione ai messaggi (09/05/2023)

Si è conclusa la prima semifinale dell’Eurovision Song Contest – in cui metà del pubblico europeo, incluso quello italiano, ha votato i suoi concorrenti preferiti. Fuori dalla gara, Marco Mengoni presenta la sua Due Vite a un pubblico entusiasta: tra i concorrenti vince l’eccentricità, quando non vincono i sentimenti.

Una notte scintillante alla Liverpool Arena: questo il riassunto della prima notte della sessantasettesima edizione dell’Eurovision Song Contest. A causa dell’impossibilità di recarsi in Ucraina, paese vincente con Stefania dei Kalush Orchestra, per l’invasione in corso, la gara si tiene in Inghilterra, paese natale del secondo classificato dell’anno scorso Sam Ryder. La conducono la popstar Alesha Dixon, l’attrice di Game of Thrones e Sex Education Hannah Waddingham e la cantante ucraina Julija Sanina – alla localizzazione italiana, invece, abbiamo Gabriele Corsi e Mara Maoinchi.

Tra i favoriti spicca la svedese Lorine Talhaoui, o Loreen, che già nel 2012 stregò tutta l’Europa con Euphoria. La sua Tattoo riprende lo stesso modello elettropop, ed evoca lo stesso senso di liberazione tramite una coreografia sensuale e immacolata e una scenografia essenziale, ma in eterno movimento. Interessante anche la portoghese Marisa Lopes Mena, in arte Mimicat: la danza tradizionale e l’acuto imponente fanno di lei uno dei concorrenti dal maggior interesse tecnico. Ai Coração sarà un’avversaria difficile.

La performance di cui parlano tutti, però è quella della Croazia. Soldati in trench coat rosa, con trucco pesante e stivali col tacco, citazioni al Dottor Stranamore e velata satira politica sono gli strumenti con cui i Let 3 colpiscono il bersagli della loro Mama šč!. Il gruppo non è estraneo agli scandali e alle stranezze – nel 2006 sono stati arrestati per essersi esibiti in pubblico completamente nudi – e combinare la loro vena chiassosa con un messaggio politico marcato e riconoscibile si rivela una ricetta vincente per entrare nella storia.

E se il pubblico non si era stancato delle stranezze, la Finlandia esilara e travolge con Cha Cha Cha. La performance di Käärijä, in stile industrial-pop, trova il punto d’equilibrio ideale tra autoironia e passione autentica. Il pubblico è coinvolto, e nonostante la scenografia spoglia la fa da padrone il divertimento. Fin quasi a far sfigurare l’altra traccia di ispirazione industrial, Samo Mi Se Spava del serbo Luke Black, meno eccentrica e più professionale. Indimenticabile, tuttavia, la risata malvagia verso la fine. ENEMY DEFEATED – ma sarà così anche sabato?

La Moldavia, da sempre famosa per concorrenti memorabili – dall’Epic Sax Guy Sergey Stepanov dei Sunstroke Project all’inno folk alle ferrovie di Zdob şi Zdub e Advahov Brothers Trenulețul – si fa notare anche stavolta. L’ottima Soarele Si Luna, cantata dal magnetico Pasha Parfeni, racconta un matrimonio nella foresta tra due innamorati, ed è dedicata alla moglie del cantante. Indimenticabile l’apparizione di Statu-Palmă-Barbă-Cot, uno spirito della cultura moldava che protegge gli amanti, interpretato in costume dal flautista Sergiu Borș.

Ma anche l’apertura, della norvegese Alessandra, è esplosiva. La voce roca della cantante e la coreografia impetuosa, che accompagnano una traccia potente e liberatoria, trascinano immediatamente nel pieno dell’azione. Queen Of The Kings è un’ottima apertura e un’altra delle avversarie più temute dal nostro pubblico. Decente Israele, con la popstar Noa Kirel. Unicorn spicca per i passi di danza, che però concludono una performance troppo riconoscibile per l’Eurovision, da parte di una popstar troppo classica per arrivare lontano.

Se c’è un momento d’ombra nella serata sono le performance di Repubblica Ceca e Svizzera. La prima, negli ultimi anni sempre passata in sordina, riconquista i riflettori con la girl band delle Vesna e la canzone poliglotta My Sister’s Crown. Ma non bastano le buone armonie e la coreografia elegante a cancellare un messaggio insidioso, criticato sui social network dagli utenti ucraini e scoperto gradualmente, a serata conclusa, anche dal resto dell’Europa. Un’immagine metaforica dei paesi slavi come “sorelle” il cui rapporto di concordia idealizzato è una priorità incancellabile, è affine più a un tipo più benevolo di propaganda Cremliniana che a una vera presa di posizione sul patriarcato. Accattivante, ma ingannevole.

Il concorrente svizzero, invece, scompare nella folla. La ballad Watergun di Remo Forrer, volta a criticare la brutalità della guerra, risulta distante dalla crudezza della guerra reale, e completamente fuori luogo considerando la nazionalità del cantante. E se si aggiunge a questo la generale ostilità del pubblico dell’Eurovision per le ballate – alla quale, si spera, possa sfuggire il nostro Marco Mengoni – non sarebbe da escludersi un nul points la sera della finale.

Tra gli eliminati spiccano la traccia power pop We Are One, degli irlandesi Wild Youth; la traccia disco maltese Dance (Our Own Party) – nonostante la presenza simpatica dei cartonati dei concorrenti passati – e la ballata romantica Burning Daylight, degli olandesi Mia Nicolai e Dion Cooper, che nemmeno la penna dell’ex vincitore Duncan Lawrence riesce a salvare. Intanto il pubblico applaude a gran voce Mengoni: riuscirà a conquistare all’Italia il quarto trofeo?

 

 

Eurovision, Seconda Semifinale: delusione generale, niente San Marino, Australia sorprendente (11/05/2023)

Niente da fare, San Marino. Dopo il rifiuto nel 2022 con gli eccessi di Achille Lauro, nemmeno la boy band dei Piqued Jacks, scelti su misura come lui al talent show Una Voce per San Marino, riescono a conquistare la finalissima con Like An Animal. Inutili gli scongiuri di Mara e Gabriele Corsi e la buona prova vocale: la loro esperienza a Liverpool si è chiusa qui.

Ma non sono gli unici a lasciare il pubblico freddo – le prime performance non accendono l’interesse degli spettatori, e anche a serata riaccesa si sente la mancanza del Cha Cha Cha.

C’è chi nel pubblico, scherzando, proclama come performance migliore quella delle drag queen che, in una benvenuta presa di posizione contro le politiche anti-drag e anti-LGBT sempre più diffuse in America (e non solo), accompagnano i paesi votanti durante il conteggio. Oppure quella dei musicisti ucraini Maria Yaremchuk, Zlata Dziunka e OTOY, molto apprezzati in madrepatria – un nuovo, affettuoso messaggio per gli amici a casa, intrappolati in una guerra espansionistica dalla quale non si vede l’uscita.

Si notano, però, alcuni elementi di spicco. Il primo a riaccendere il pubblico dalla sonnolenza è Gustaph, il concorrente belga, uomo gay (con marito nel pubblico) che riprende l’elettropop ballabile, i ritornelli impetuosi, i ventagli e il palco a passerella caratteristici della cultura delle ballroom anni ottanta. Uno stile musicale molto in voga anche adesso, tramite artisti come Beyoncé e Sam Smith, e che piace: Because Of You offre una speranza a un paese che, all’Eurovision, non è mai stato fortunato.

Altro paese da sempre sfortunato – a parte nel 2018, con Fuego di Eleni Foureira – è Cipro, che presenta uno degli elementi pop più completi. Andrew Lambrou ha una voce potente, interpreta con sentimento la sua Break A Broken Heart, e porta sul palco un fascino immediato.

Anche la chiusura, pur proveniente dagli “infiltrati” australiani, diverte e sorprende. Il concept del “metal con tastiere” proposto dai Voyager pare strano a primo acchito, ma quando parte Promise e le dita degli esecutori si muovono sugli strumenti non ci sono dubbi: gli Aussies ci sanno fare. Sintetizzatori e deathgrowl si sposano bene, e la finale si avvicina: abbiamo davanti i nuovi Lordi o vincerà la musica più radiofonica?

Per il resto, infatti, domina il pop – pulito, riconoscibile, orecchiabile, simpatico. Per pura star quality spicca la polacca Blanka: Solo, una dedica con smacco all’indifferente e distante padre, è un’accogliente combinazione pop-reggae con un ritornello che rimane in testa e una performer disinvolta che riesce a venderlo. Monika Linkyté sfrutta un ritornello nonsense – descritto come un inno alla natura – e influenze gospel per Stay, solare e immediatamente orecchiabile.

Ma le nuove popstar sono senza dubbio le austriache Teya e Salena, con una traccia elettropop che ricorda la fine anni duemila, stile The Veronicas e Cobra Starship, e che si serve dell’apparente camp per una satira mordente e cinica sull’industria della scrittura e della creatività in generale. Trasformare Edgar Allan Poe in un’icona pop non è mai stato così divertente, e Who The Hell Is Edgar non si dimenticherà.

L’estone Alika, con Bridges, crea una performance essenziale ma efficace – buona la trovata del pianoforte che suona da solo – e perpetua la tradizione delle power ballad in finale, mentre Brunette, dall’Armenia, offre un’altra buona scena di ballo e un timbro piacevole. Ultimi selezionati, e passati in sordina, i Joker Out: Carpe Diem è piacevole, e non annoia, ma l’elemento di maggior distinzione che ha dalla sua è il fatto che i ragazzi non cantino in inglese.

Infine un accenno, purtroppo piccolo, di folclore: l’albanese Albina, accompagnata dalla band famigliare Familja Kelmendi, è la prima ad approdare al grande evento e una delle più apprezzate. Duje, in modo speculare a chi la canta, è una tragedia famigliare in corso, cantata con splendide armonie e un’atmosfera immersiva. Riporta all’anima dell’Eurovision, l’incontro tra culture e tradizioni, e rappresenta uno degli avversari più pericolosi per il nostro Marco Mengoni.

Tra gli eliminati, oltre ai Piqued Jacks, spiccano l’islandese Diljá, con un’eccellente traccia power pop dal titolo, non a caso, di Power, e la georgiana Iru, che con Echo offre una delle migliori prove vocali della serata. Nel frattempo si conoscono gli altri finalisti: e mentre la canzonetta dell’inglese Mae Muller cade in sordina – e chi ricorda James Newman inizia a toccare ferro – tra il magnetico flamenco di Eaea di Blanca Paloma e l’R&B elettronico degli ucraini Tvorchi, un nuovo tributo al paese in difficoltà, ci sarà molto da giocare alla grande serata.

 

La triste noia di un Eurovision già deciso (13/05/2023)

C’è un’immagine emblematica, alla sessantasettesima edizione dell’Eurovision Song Contest, tenutasi a Liverpool e vinta dalla svedese Loreen con la traccia Tattoo e un vigoroso assist da parte della giuria di qualità. Non è il flautista mascherato di Pasha Parfeni, o i cappotti da soldato colorati dei Let 3, né i costumi e il trucco dei Lords of the Lost, o il mecha gigante sullo sfondo di Luke Black; e nemmeno – nonostante meriti un encomio anche solo per essere stato l’unico a farlo – la bandiera queer di Daniel Quasar sventolata da Marco Mengoni durante la parata d’apertura.

È La Zarra, la concorrente francese, che muove il dito medio al momento della votazione e se ne va senza salutare prima dell’esibizione della vittoria. La cantante giustifica il primo gesto in un post in francese sul suo profilo Instagram, spiegandolo come un atto tipico proveniente dalle sue parti – La Zarra si chiama Fatima Zahra Hafdi, ha origini marocchine ed è molto vicina alla cultura dei suoi genitori – che esprime delusione senza volgarità. Quello che colpisce del fatto, oltre all’uscita in silenzio durante la premiazione di Loreen, è la reazione del pubblico: molti spettatori, anche prima di essere informati sulla vera natura del gesto, prendono le parti della cantante e giustificano la presunta volgarità nel contesto della serata verificatasi.

Con la vittoria di ieri sera, Loreen batte un record: è la seconda persona, nonché prima donna, a vincere l’Eurovision per due volte. Eppure il pubblico, che pure nel 2012 aveva tanto amato la sua Euphoria, chiama a gran voce per il Cha Cha Cha del finlandese Käärijä. Lo chiamano durante il voto della giuria di qualità, quando ormai Loreen ha un distacco dalla seconda classificata – l’inaspettata e trascurabile Unicorn dell’ex militare israeliana Noa Kirel – di quasi duecento punti, e lo chiamano al momento delle votazioni, mentre un concorrente dopo l’altro viene “mandato a casa” con poche decine di punti. Anche Marco Mengoni, che pure lotta bene, si contenta del quarto posto, e può dirsi fortunato.

Sul perché la giuria di qualità si sia tanto affezionata a Loreen si sollevano varie teorie. C’è chi parla del credito ottenuto con Euphoria, la sua canzone vincente nel 2012, ritenuta dalla critica e quasi all’unanimità come una delle tracce più belle mai presentate. C’è chi sostiene, piuttosto, che si tratti di un’idea premeditata: nel 2024 incorrerà il cinquantenario della vittoria degli ABBA con Waterloo, la traccia più famosa mai presentata all’Eurovision, e l’idea di una festa celebrativa in casa deve essere risultata accattivante agli organizzatori.

Dal rovescio della medaglia, a una larga fascia del pubblico non piace l’idea di premiare una vincitrice passata – fatto verificatosi unicamente per Johnny Logan, vincitore irlandese nel 1980 e nel 1987 – appartenente a uno dei paesi con più vittorie pregresse. Il pubblico dell’Eurovision è generalmente indifferente alle celebrità preesistenti. Cantanti e gruppi di fama come Anggun, Bonnie Tyler, i Jedward, Flo Rida, Katrina and the Waves e le t.A.T.u sono stati ignorati al momento della premiazione in favore di artisti meno conosciuti, e persino Céline Dion, vincitrice per la Svizzera nel 1988, era ancora al debutto, ben lontana dall’acclamazione che possiede oggi. Anche Madonna, presentatasi come ospite nel 2019 assieme al rapper Quavo per promuovere il nuovo album Madame X, è accolta dal pubblico con meno favore di vecchi vincitori come Verka Serduchka, Eleni Foureira e Conchita Wurst.

Tattoo è inoltre stata accusata di plagio verso varie tracce famose, come Easy On Me di Adele e The Winner Takes It All degli stessi ABBA. E più di ogni altra cosa dispiace la facilità della vittoria, che penalizza a livello di punti concorrenti meritevoli. Di Cha Cha Cha di Käärijä si è parlato abbondantemente, favorita dal pubblico che nemmeno il salto del televoto è riuscita a salvare, ma anche il resto dei concorrenti si trova lasciato indietro, con un distacco immeritevole e triste da vedere, se commisurato all’impegno profuso e al significato dietro ciascuna traccia.

Come Eaea di Blanca Paloma e Ai Curaçao di Mimicat, che rappresentano generi di musica culturalmente ricchi per i loro paesi – il flamenco spagnolo e il fado portoghese – si contendono le posizioni più basse. Similmente per Soarele Si Luna, tributo al folclore romantico moldavo, e al canto albanese della famiglia di Duje. Anche sul fronte pop, oltre alla succitata Évidemment, dispiace la caduta di grazia di Who The Hell Is Edgar? di Teya e Salena, una satira glaciale sull’industria musicale condita di umorismo, e del power pop femminista dell’italo-norvegese Alessandra Mele.

Dispiace vedere l’umorismo politico dei Let 3, critica alla macchina della guerra che ne evidenzia la natura ridicola, non attecchire come previsto – e dispiace per la Germania, ridotta a eterna perdente a scopo umoristico (anche sotto la mediocre I Wrote A Song di Mae Muller, la cui performance vocale lascia molto a desiderare) anche con la divertente traccia glam metal Blood & Glitter. Nel frattempo i conservatori tedeschi attribuiscono l’ennesima sconfitta alla natura woke della canzone, e all’idea assurda di un uomo con i tacchi truccato con i brillantini. Dimentichi, pare, della bandiera sventolata dal quarto classificato.

Non si dica che dovevano vincere, a priori, rispetto a Tattoo.

Ma che, allo stesso modo, Tattoo non meritava di vincere a priori rispetto a loro.

L’importante è partecipare, si sa: ma cosa c’è di divertente, anche solo a partecipare, a una gara senza suspence perché già decisa?

Non importa, in fondo: ci penserà il pubblico a voler bene a Cha Cha Cha.

Loreen, arrivata al primo posto
Marco Mengoni, classificatosi al quarto posto