Dharma D1000: ibrido o elegante fusione?

Pubblicato il 20/02/2017

Topic: Riproduzione audio hi-fi

Non sono il cuffiofilo per eccellenza, me lo devo ricordare quando ascolto musica da cuffie che mi piacciono, mi permette di resistere alla tentazione di chiamare il distributore per accordarmi sul prezzo; con le Dharma D1000 è stata una di quelle volte.

In realtà devo anche ammettere pubblicamente che sono andato a chiedere queste cuffie in prova, proprio perché la prima volta che le avevo ascoltate non mi avevano per nulla convinto, ma assieme a loro non mi convinceva nemmeno l’amplificatore che le spingeva. Capisco che anche attaccate allo smartphone funzionano. Funzionare tuttavia non equivale a suonare: suonare è un’altra cosa.

Inoltre nel titolo ho messo una domanda: “ibrido o elegante fusione?”. Credo che il termine ibrido, per quanto tecnicamente corretto, renda decisamente male le potenzialità di queste cuffie, andiamo a vedere perché a mio personale parere il termine “elegante fusione” sia più descrittivo.

L’IMPIANTO

Questa volta ho usato un impianto monocomponente: TEAC UD-503.

DESCRIZIONE

Cuffie dal discreto peso! Per lo meno prendendole in mano i loro 450 grami si son fatti sentire. Tuttavia non è la prima sensazione che pervade sollevandole, la prima sensazione è di avere in mano qualcosa di ben fatto e ottimamente costruito, perciò chissenefrega del peso.

Cuffie finemente aperte sul posteriore, con una velata trasparenza dei componenti interni, non possono tuttavia essere considerate totalmente aperte, ma delle semiaperte.

I materiali sono tutti di prima qualità, quasi zero le componenti plastiche: molti metalli (per lo più alluminio, ma non solo) e pelle.

I Pad sono in gommapiuma, non è memory foam, ma risultano comunque assai confortevoli da indossare.

Il fatto interessante delle Dharma D1000 è che sono cuffie ibride: in parte dinamiche ed in parte elettrostatiche. ENIGMAcoustics è riuscita a far convivere entrambe le tecnologie nel poco spazio di una cuffia, ha fatto però diversamente da altre elettrostatiche: non serve infatti il bias per far funzionare anche la parte elettrostatica. ENIGMAcoustics possiede infatti il brevetto SBESL (Self Biased Electrostatic): questa tecnologia (ricordo che solo le tecnologie possono essere brevettate, le scoperte scientifiche sono infatti patrimonio dell’umanità) permette di non dover fornire alcuna corrente alternata per polarizzare la superfice elettrostatica, con il vantaggio di ottenere una membrana, non conduttiva, di minore dimensione.

Questo innesto ha perciò permesso di ottenere una cuffia che estende il proprio alto fino a 40kHz, senza tuttavia dimenticare i benefici che ancora oggi porta l’utilizzo di un driver dinamico. ENIGMAcoustics afferma infatti che l’elettrostatico è più veloce del dinamico nei transienti e nel dettaglio, ma il dinamico muove più aria.

Da sottolineare è il fatto che non vi è alcun crossover per integrare le due tecnologie, cosa che a mio avviso non la rende esattamente una due vie, ma una ben più interessante integrazione dei vantaggi di ambo le tecnologie.

SUONO

Lasciando i discorsi tecnici di descrizione delle Dharma D1000, passiamo a raccontare come esse suonano.

Ammetto che la tentazione di scrivere frasi tipo: “Suonano con la potenza di una cuffia dinamica, ma la raffinatezza e precisione sonora di un’elettrostatica” è abbastanza allettante, più che altro per farsi due risate dato che è una frase non solo totalmente priva di senso (per lo meno scritta così non lo ha), ma anche poco descrittiva ed assolutamente non realistica, sebbene abbia un gusto decisamente tautologico.

Tuttavia rimanere seri è certamente la scelta più intelligente.

Le Dharma D1000 sono decisamente bilanciate non c’è una gamma in evidenza, tanto che andrebbero bene anche per il monitoring o uno studio di registrazione. Il basso è presente e profondo, ma non evidente, proprio come ad un live: c’è quando e quanto serve ed è ben capace di lasciare il giusto spazio a tutto ciò che c’è su un palco. I medio bassi sono intensi e secchi quanto i bassi, la velocità del driver è evidente perché non vi è l’impastamento di alcuna nota e la trama assume una precisione notevole che prende forma negli strumenti che stanno suonando. I medi sono estremamente naturali e come tutto dotati di una notevole coerenza timbrica. Anche gli alti sono presenti, veloci e sempre catturati anche qualora fossero dotati di poca pressione acustica. La velocità dei driver si trasforma in dettaglio preciso e costante in tutta la gamma acustica, ma non solo: rende infatti le Dharma D1000 capaci di estrema dinamica e microdinamica nel seguire gli strumenti.

Non nascondo che le cuffie di ENIGMAcoustics mi sono notevolmente piaciute e che sotto il profilo acustico le ritengo, se non le migliori cuffie, di certo delle cuffie che sposano i miei personali gusti.

Solo l’estensione tridimensionale del palcoscenico non mi ha soddisfatto appieno, ma c’è da dire che era prevedibile data l’apertura esterna. La scena è abbastanza intima, ma la disposizione strumentale e la separazione tra strumenti sono fatti evidenti dal primo ascolto.

Se si teme che il doppio driver vada ad influenzate il timbro, facendo più fatica di altre cuffie ad ingannare l’orecchio, questa sensazione di incoerenza timbrica è totalmente assente all’ascolto. Alla fin fine sempre di riproduzione si tratta, ed una riproduzione non può far altro che convincere ingannevolmente della presenza degli strumenti, credo che Lorenzo Zen quando parli di interpretazione intenda qualcosa di simile, non lo so di per certo, ma avremo sicuramente occasione di  condividere vari punti d’ascolto.

Ed ora pensiamo agli album: questa volta però non ho scelto a caso, o per lo meno non totalmente, volevo lanciare un messaggio di energia e di disinteresse verso chi cerca di metterci i bastoni tra le ruote.

Ed allora partiamo col Punk, anche se è il genere che più ha mostrato il punto debole delle cuffie di ENIGMAcoustics.

“Dude Runch”, Blink 182, 1997: l’album che più le ha fatte soffrire dato che è suonato per lo più a 240 battimenti e Scott Raynor alla batteria imperversa con una serie di biscrome, nel suo modo unico ed inimitabile di suonare la batteria. Le Dharma D1000 con loro sembravano ansimare, ma il fatto che mi sia messo a canticchiare “Untitled” (me lo ha riferito mia moglie, non mi ero accorto di ciò) fa ben capire come siano capaci di trasmettere quell’energia e leggerezza tipica del Blink 182.

Dopo i Blink 182, le Dharma D1000 hanno potuto tirare un bel sospiro di sollievo, da qui in poi è praticamente una strada in discesa: “Insomniac”, Green Day, 1995; “Ignition”, Offsprings, 1992: altri due album che potremmo definire come energia allo stato puro con cui le Dharma si sono trovate quasi in perfetta sintonia, anche se il Punk più calmo di “Rebel Yell”, Billy Idol, 1983 è stato quello dove le cuffie di ENIGMAcoustics si sono comportate meglio dal punto d’ascolto del Punk.

Ma un messaggio di energia non può essere tale se mancano le Pistole del sesso: “Nevermind the Bollocks”, Sex Pistols, 1977. Per fortuna l’album fu suonato con Glen Matlock al basso e non Sid Viciuos, che intervenne solo in “God save the Queen”, ma i tecnici si “dimenticarono” di registrarlo, salvando così l’album.

“Greatest Hits”, Guns’n Roses, 2004: questa raccolta raccoglie veramente alcuni dei migliori pezzi dei Gun’s e mi permette di chiudere questo messaggio, con un bel “welcome to the jungle”.

Il messaggio finisce qui, ma spero di esser stato abbastanza chiaro e fuori dagli schemi; ma la recensione continua…

 “Mr. Tambourine Man”, The Byrds, 1965 (Legacy Edition 1996): si torna al rock classico, a quel rock fatto anche di cover, in questo caso la cover è dei Byrds ed è dedicata al recente premio Nobel per la letteratura Bob Dylan, quanta strada ha fatto quest’uomo, e quanti bei album sono nati dalle sue cover. In questo caso la sensazione di intimità della cuffia si mischia anche con una bella sensazione digitale di nero infrastrumentale.

Se i Byrds sono stati inclusi per cause esterne, nel senso che mi stavano girando in testa da troppi giorni, “Beggars Banquet”, Rolling Stones, 1968 è il naturale prosequio della recensione, si apre infatti con “Symphaty for the Devil”, la cui cover conclude l’album dei Guns’ n Roses. La registrazione è vecchio stile, con gli strumenti che si accavallano un po’ tra loro, con la batteria di Charlie Watts che entra diretta nel microfono di Mick Jagger, ma il valore artistico è troppo elevato per poter escludere queste registrazioni dalle recensioni, le Dharma D1000 servono ad ascoltare musica, mica campanellini.

“Toys In The Attic”, Aerosmith, 1975: un album vario che passa da ritmi veloci a ritmi decisamente più lenti, da pezzi pieni di energia a pezzi pieni di sentimento. C’è un fatto legato a questo Album che è particolarmente interessante, riportato anche su “Rock Bazar” di Massimo Cotto, mi piace tuttavia ricordarlo. È il 1984; gli Aerosmith si erano separati nel 1979, per lo meno da Joe Perry e Brad Whitford; la reunion sarebbe tornata da lì a poco. Per cercare ispirazione stavano ascoltando vari loro pezzi, quando sulle note di “You See Me Crying” Steven Tayler esclama: “Cazzo! Ma sentite che roba? Dovremmo fare una cover di questo brano. Di chi è?” Joe Perry gli risponde: “Siamo noi, coglione. Eri così imbottito di droghe da non ricordarlo? E nemmeno da accorgerti che quella che senti è la tua voce?”; bhè forse ci siamo spiegati la varietà dell’album.

È un po’ di tempo che non ascoltavo qualcosa di Jazz: nuova recensione; nuova occasione! Non sono un amante del genere, bisognava però cogliere l’attimo e tirar fuori dalla discoteca un album serio: “Ella and Louis, For Lovers”, 1956: due nomi che non hanno bisogno di nessuna presentazione al cui sentirli nominare si può essere soltanto pervasi da un sano brivido lungo la schena. Un unico commento: WOW.

Giustamente ci deve essere anche un po’ di classica, ma questa volta non ho scelto un nome altisonante, ho tirato fuori un disco live dell’associazione Aronese “Sonata Organi”; il vantaggio è che non solo conosco i pezzi, ma anche conosco gli organi, dato che sono per lo più della mia zona di residenza. Il disco è composto da vari brani suonati durante gli “Itinerari Organistici sul territorio della provincia di Novara anno 2015”, la bellezza di 15 pezzi di varie epoche ed autori, tra cui: Frescobaldi, Mozart, Vivaldi, Morandi, Barbieri, Pasquini, Merrit e altri. L’organo deve sembrare pervadere la chiesa dall’alto con la possenza del suo basso, ma la raffinatezza di tutta la sua estensione sonora. Anche questa volta sono rimasto sbalordito da come ciò sia possibile anche in cuffia, e come una cuffia riesca ad ingannare tanto piacevolmente i sensi.

Manca ancora uno dei miei generi forti: il Metal. Questa volta ho scelto un Metal particolarmente artistico: “A Change of Season”, Dream Theater, 1995. È il loro primo Extended Play che contiene l’omonima suite di 23 minuti per lo più scritta da Portnoy e Moore, un viaggio nell’opera Metal.

VIDEOGAMES

Quando parlo di una cuffia aspettatevi anche questo paragrafo. Ex videogiocatore, più per mancanza di tempo, dato che preferisco passare il tempo libero a progettare/testare ed ascoltare musica, che per scelta totale. Sono profondamente convinto che i videogiochi abbiano in comune con la musica ciò che prima ho chiamato inganno dell’orecchio. Meno complessi da eseguire di un qualsiasi brano musicale dato che le musiche sono in bassa qualità ed il resto sono per lo più rumori, tuttavia ritengo che una buona esperienza visiva debba essere accompagnata da un’ottima esperienza acustica… non vi ricordano parole che potrebbero essere usate per i film? Tuttavia credo che nei videogiochi l’audio sia talvolta ben più determinante ed informativo di un qualsiasi film; per l’amor di Dio, manca quel dettaglio sonoro presente in molte grandi opere cinematografiche, ma provare a giocare ad un qualsiasi FPS (Firs Person Schooter) o FPRPG (Firs Person Role Play Game) senza l’informazione acustica può rivelarsi addirittura fatale.

Se uno vuole fondere l’impianto audio con l’impianto ludico le Dharma D1000 sono certamente una cuffia di classe con cui affrontare l’esperienza videoludica e possono essere tranquillamente dichiarate forse le migliori in questo campo. Col supporto di un virtualizzatore di surround in cuffia la direzionalità del suono è estremamente precisa, ma non solo, quel palcoscenico che con la musica è intimo, con i videogames diventa enorme. Non so spiegarmi il perché di questo fatto, ho semplicemente constatato che c’è.

Giocando ad ArmA II Operation Arrowed i bassi di un carrarmato sono giustamente diventati soverchianti e coprenti usando la visuale esterna, ma nelle altre situazioni ogni dettaglio era giustamente restituito, il fatto di non aver subito kill sul campo virtuale non può far altro che rendere onore al comporto acustico.

Altri giochi usati: Race Injection, simulatore di guida… ero fuori allenamento, ho fatto dei lunghi che mi hanno costretto al ritiro, ma non era colpa delle Dharma D1000; e SKYRIM (ovviamente la versione Special Edition scaricata da Steam appena disponibile) in cui le informazioni acustiche hanno minore importanza rispetto ad un simulatore di guerra, ma suoni e musiche hanno il dovere di appassionare al gioco tramite l’orecchio.

TECNICA

C’è chi dice che contano i test e c’è chi dice che contano le emozioni d’ascolto, credo che entrambi abbiano solo parzialmente ragione: servono entrambi. Le orecchie ci dicono quanto fedelmente uno strumento suona nella sua riproduzione, servono per quella che è una valutazione qualitativa. I test invece ci danno solo indicazioni quantitative, mostrano difetti enormi, o piccole cose di cui all’ascolto se ne ha solo il sentore. Se ci ostiniamo a guardare gli uni o gli altri avremo sempre e soltanto una visione parziale, non che a guardare entrambi si venga in possesso di chissà che conoscenza in più: la via è l’integrazione non la separazione. Il giorno che ciò avverrà l’umanità sarà più umana, purtroppo a giudicare da ciò che si legge in rete questo giorno è ancora lontano, dato che piuttosto che all’età dei lumi si è ancora a quella della caccia alle streghe.

In virtù di ciò voglio presentare i test come uno sguardo per dare una forma grafica a ciò che si è letto nella parte sul suono, chi volesse una propinazione di test si rivolga ad altri, i test non vanno propinati, vanno integrati (per lo meno da chi è in grado di farli).

Partiamo dalla risposta in frequenza ed in fase.

Vediamo una risposta in frequenza abbastanza lineare, indice di quel bilanciamento prima descritto, ma notiamo anche una decisa linearità di fase, che si estende dai circa 100Hz a poco oltre i 10kHz, indice probabilmente di quella naturalezza e di quel nero infrastrumentale descritti.

Il THD invece non è eccezionale, dato che ho eseguito misure più esaltanti su altre cuffie, tuttavia rimane entro i limiti dell’orecchio così da ingannarlo abbastanza da non far rendere conto del difetto. Non è da escludere che chi ascolta ben più di me in cuffia si possa rendere conto di ciò; soprattutto a confronto con le proprie cuffie abituali, per lo meno a me capita con i miei diffusori, perché non dovrebbe succedere ad altri con le proprie cuffie?

La risposta all’impulso è anch’essa di notevole interesse.

Le Dharma D1000 sono cuffie a bassa impedenza, ma non fatevi strane idee sul pilotarle con componenti inadeguati: le cuffie gradiscono quei 7V e 280mA, insomma attaccate allo smartphone funzioneranno, ma da qui a suonare ci ballano almeno quei 6V e quei 250mA. Non fatevi ingannare dal fatto che basti un solo Volt per sviluppare una pressione acustica di ben 103db, le Dharma hanno la capacità di portare al clipping vari amplificatori senza nemmeno troppo sforzo, sono avare di corrente e non definirei suono quello che esce dall’attaccarle ad uno smartphone, semmai quello va sotto il termine funzionamento; e si sa tra funzionare e suonare intercorre più di un abisso.

VIDEORECENSIONE

 

CONCLUSIONI

Le Dharma D1000 una volta messe nel giusto impianto (o minimo sindacale… fate vobis) sono cuffie che giustificano appieno i loro 1700€ euro di listino, inutile andare a vedere che negli States costano di meno, là costa meno qualsiasi cuffia. Materiali di prima qualità, tecnologia avanzata e qualità del suono che le rendono cuffie decisamente Hi-end. Cuffie così bilanciate si mostrano idonee per lo più a qualsiasi genere musicale e a qualsiasi utilizzo. Poi entra il fattore gusto, che è insindacabile, per il mio personale gusto è decisamente un “SI”, ma provare una cuffia ben bilanciata nella propria vita non fa altro che arricchire il proprio bagaglio di esperienze.

Photography by Marco Maria Maurilio Bicelli
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